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 2016  febbraio 15 Lunedì calendario

Obama chiama Putin: «Basta bombe in Siria»

Basta bombardamenti contro i ribelli “moderati” in Siria. In un clima da nuova “guerra fredda”, con la Casa Bianca sempre più in difficoltà di fronte ai “muscoli” di Putin e alla ritrovata baldanza del dittatore Assad, Barack Obama sabato sera ha alzato il telefono chiamando direttamente il presidente russo: «Per discutere le decisioni e gli accordi» presi a Monaco l’11 febbraio, ma soprattutto per provare a fermare i caccia di Mosca. Invece di attaccare le postazioni dell’Is, l’offensiva russa (in appoggio alle truppe lealiste di Assad) ha come obiettivo i ribelli “moderati” (o ritenuti tali) e ha già avuto come conseguenza il massacro di civili nell’area di Aleppo e una massiccia ondata di profughi verso la Turchia. Ennesima dimostrazione, dicono i critici di Obama (e la maggioranza degli americani) di una strategia fallimentare sulla Siria. Il presidente ha enfatizzato «l’importanza che la Russia abbia un ruolo costruttivo», ponendo fine alla campagna aerea «contro le forze dell’opposizione moderata in Siria», rendendo «concreto e rapido» l’accesso umanitario alle zone assediate in Siria e avviando «una cessazione delle ostilità sull’insieme del territorio siriano». Il comunicato della Casa Bianca è di poche righe e si conclude con un «i due presidenti si sono messi d’accordo per restare in comunicazione in merito all’importante lavoro del Gruppo di sostegno per la Siria» – e nasconde la vera preoccupazione dell’amministrazione Usa su cosa fare nel caso il fragile cessate- il-fuoco non dovesse tenere. Il segretario di Stato Kerry si era spinto a minacciare Assad («siamo pronti a far intervenire truppe di terra»), ma tutti sanno fin troppo bene che Obama farà di tutto per evitare di essere coinvolto in una nuova offensiva di terra nel suo ultimo anno di mandato.
In questa situazione il dialogo con Putin diventa l’ultima possibilità che ha la Casa Bianca per non abbandonare la Siria in mano ai russi, ad Assad e a possibili interventi della Turchia e dell’Arabia Saudita. Un dialogo che John McCain – senatore repubblicano sconfitto da Obama nel 2008 – invita a rifiutare per non cadere nell’ennesima trappola del presidente russo. «L’accordo che abbiamo concluso a Monaco non servirà ad altro che a permettere l’ennesima aggressione militare russa». E quasi come una replica arrivano le parole del premier russo Medvedev: «Piaccia o non piaccia Assad è il legittimo presidente, se lo cacciamo la Siria finirà come la Libia». La Russia è sotto attacco da più fronti: ieri il ministro degli Esteri britannico Philip Hammond ha detto che «c’è solo un uomo sulla Terra che può mettere fine alla guerra civile in Siria con una sola telefonata e questo uomo è Putin», mentre diverse cancellerie ritengono che Mosca stia volutamente facendo crescere il flusso di profughi verso la Turchia da Aleppo per mettere pressione sull’Europa.Intanto, la Casa Bianca di Obama deve fare i conti anche con l’altro fronte caldo aperto da Turchia e Arabia Saudita, due suoi stretti alleati nella regione. I caccia di Ankara che bombardano le zone curde hanno provocato la reazione della Francia («stop immediato ai bombardamenti») ma Ankara non ha intenzione di fermarli: secondo Damasco anzi, sarebbe responsabile anche dello sconfinamento di truppe di terra in Siria. E l’arrivo nella base turca di Incirlik degli aerei da guerra dell’Arabia Saudita che minaccia di inviare anche truppe di terra, rende tutto più complicato.