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 2016  febbraio 12 Venerdì calendario

Etruria è insolvente. Si va verso la bancarotta fraudolenta

Tre giorni sono bastati al tribunale di Arezzo per dichiarare lo stato di insolvenza di Banca Etruria. E aprire così la strada a una nuova inchiesta per bancarotta fraudolenta nei confronti dei vecchi amministratori. Il «buco» di oltre tre miliardi di euro è stato infatti causato – secondo i giudici – da un’opera di dissipazione del patrimonio anche a fini personali. E questo ha convinto il collegio ad accogliere senza riserve l’istanza presentata dal commissario liquidatore Giuseppe Santoni e quella depositata in udienza dal procuratore Roberto Rossi, titolare dell’indagine sul dissesto e sulla regolarità dell’operato dei vertici dell’istituto di credito, anche rispetto all’emissione delle obbligazioni poi diventate carta straccia con il decreto «salvabanche» varato dal governo il 22 novembre scorso. 
La motivazione dei giudici non lascia spazio alla difesa dell’ex presidente Lorenzo Rosi costituito in giudizio in quanto rappresentante legale della passata gestione, con l’assistenza dell’avvocato Michele Desario: «Nell’arco di nove mesi – tra dicembre 2014 e settembre 2015 – emerge una riduzione del patrimonio netto di circa i 2/3». E, sottolineano i giudici, «alla data di avvio della risoluzione (il 22 novembre) il patrimonio netto risultava integralmente eroso da ulteriori perdite». I magistrati stanno studiando il «verdetto», entro breve potrebbero decidere l’iscrizione nel registro degli indagati dei vecchi amministratori, a cominciare da coloro che guidavano Etruria al momento del commissariamento deciso da Bankitalia nel febbraio 2015. E dunque lo stesso Rosi e i suoi due vicepresidenti: il vicario Alfredo Berni e Pierluigi Boschi, padre della ministra delle Riforme Maria Elena. 
È un passaggio che appare obbligato, come del resto era stato sottolineato nelle scorse settimane, dopo l’apertura del fascicolo per conflitto di interessi contro Rosi e l’ex consigliere di amministrazione Luciano Nataloni. Soprattutto tenendo conto di tutte le «uscite» ritenute illegittime dagli ispettori di Bankitalia, a cominciare dai 17 milioni di consulenze per arrivare ai finanziamenti senza garanzie. 
Soddisfatto Roberto Bertola, amministratore delegato di Nuova Banca Etruria, secondo il quale «era necessario che fosse fatta chiarezza in tempi brevi: atto doveroso verso tutti i soggetti coinvolti del nostro territorio. La Nuova Banca, rinnovata come noto nei vertici e pienamente operativa, guarda al futuro forte di una solida posizione patrimoniale e di liquidità, oltre a non avere più il peso delle sofferenze». 
Nuovi documenti sulle indagini in corso sono stati chiesti ieri dal Consiglio superiore della magistratura che deve valutare l’eventuale incompatibilità ambientale del procuratore Rossi per l’incarico di consulente ottenuto e per aver taciuto, durante la sua audizione, il fatto di aver indagato su Boschi in passato. 

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 Il 22 novembre scorso, quando il governo ha varato il decreto «salvabanche», nelle casse di Etruria non era rimasto nulla. Di fatto erano state svuotate e proprio per questo il tribunale di Arezzo ha dichiarato lo stato di insolvenza che apre la strada all’indagine per bancarotta fraudolenta nei confronti degli ex amministratori la cui «condotta gestionale» viene ritenuta «gravemente inefficiente». La considerazione dei giudici è netta nella sua durezza: «La valutazione dei dati relativi ad un significativo arco temporale non può che condurre ad un giudizio negativo circa la capacità dell’ente bancario di superare il dissesto. Ciò tanto più se si considera che, alla data di avvio della risoluzione il patrimonio netto risultava integralmente eroso». Niente soldi e soprattutto – è questa l’accusa più grave – nessuna progettualità positiva da parte di chi doveva amministrare la banca. 
Lo stato di crisi
A rappresentare la vecchia gestione nel procedimento c’era l’ex presidente Rosi, che guidava Etruria con i due vice Alfredo Berni e Pierluigi Boschi. Ed è stato proprio lui a lamentarsi, come sottolineano i giudici, del «diniego di Bankitalia all’operazione di ricapitalizzazione intentata dagli ultimi amministratori, giacché essa avrebbe consentito, a suo dire, di riequilibrare l’assetto patrimoniale e finanziario dell’ente». Una tesi che il tribunale respinge in maniera categorica: «Si tratta di argomentazione generica e inconferente. Non può non rilevarsi come Rosi non abbia nemmeno indicato quali fossero le strategie innovative, rispetto al passato, che la banca intendeva seguire per superare lo stato di crisi. L’eventuale ricapitalizzazione non sarebbe stata comunque sufficiente a rimuovere (se non momentaneamente) le cause dello stato di crisi da individuare principalmente in condotte gestionali gravemente inefficienti». 
Il deficit patrimoniale
I giudici parlano di un «drammatico e irreversibile dissolvimento patrimoniale» e poi scrivono: «Dal resoconto intermedio di gestione redatto al 30 settembre 2015 dai commissari straordinari, emerge una sensibile riduzione del patrimonio netto che passa, nell’arco di nove mesi da 65 milioni e 976mila euro a 22 milioni e 538mila euro con conseguente perdita del 65,8 per cento». Un’erosione che un mese e mezzo dopo è totale. Non a caso il tribunale evidenzia come «all’esito della valutazione provvisoria compiuta da Palazzo Koch nell’ambito del procedimento di risoluzione il deficit ammontava a 557 milioni per assestarsi a 305,3 a seguito della riduzione integrale dei prestiti subordinati». Non solo: «Emblematico dello stato di insolvenza della banca è il fatto che la stessa abbia registrato un’esposizione debitoria pari a 283 milioni anche nei confronti del fondo di risoluzione intervenuto per capitalizzare la Nuova Banca istituita con il decreto governativo e ciò costruisce ulteriore elemento inequivocabile dell’incapienza patrimoniale dell’ente». 
Incapacità ad operare
«Gravissima» viene giudicata «la situazione di liquidità della banca al momento della risoluzione, per effetto dei deflussi di fondi operanti della clientela e dell’elevato grado di concentrazione della raccolta. È incontestato infatti che il saldo netto di liquidità, diminuito di 288 milioni da inizio ottobre fosse al 18 novembre 2015 di soli 335 milioni (pari al 4,6 del totale attivo) con conseguente incapacità della banca di continuare ad operare nel comparto creditizio». Del resto viene ben evidenziato come «la gravità della situazione di Etruria aveva già causato il 10 febbraio 2015 la sottoposizione dell’ente alla procedura di amministrazione straordinaria e che, quindi, innegabilmente giustificava l’adozione di percentuali di svalutazioni più rigorose rispetto alla generalità degli istituti di credito nazionali».