Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 10 Mercoledì calendario

Sanders ricorda gli anni 60 in quel kibbutz in Israele

Bernie Sanders, il candidato democratico dichiaratamente socialista che insidia la favorita Hillary Clinton, accende la nostalgia in Israele per «i bei tempi andati» quando il Paese era «il cocco» di gran parte del mondo per il «suo fresco, pioneristico spirito e il suo idealismo». Per lo meno in quella parte di Israele ancora legata allo spirito dei kibbutz degli Anni 60.

Sanders ha solleticato i ricordi quando ha citato in una intervista tv il suo passato di giovane volontario proprio in un kibbutz socialista, quand’era poco più che ventenne, cinquant’anni fa. Ma non ha voluto rivelare il nome del kibbutz. I cronisti americani si sono scatenati alla ricerca e la risposta è arrivata da un veterano collega israeliano, ora editorialista del «Jerusalem Post», Yossi Melman. Si tratta del Sha’ar Ha’amakim, insediato in Israele nel 1935, e attivo ancora oggi. A dire il vero i vecchi pionieri, interpellati, «non si ricordano del giovane Sanders».
Melman, però, si è ricordato di un’intervista a Sanders del 1990, quando era candidato al Congresso per lo Stato del Vermont. Anche allora aveva parlato del suo passaggio al kibbutz e ne aveva fatto il nome. Melman è andato negli archivi del suo ex giornale, «Haaretz», ha ritrovato la pagina e ha twittato il tutto. Un’operazione che gli è valsa i suoi «15 minuti di celebrità», come ha commentato ieri con autoironia sul «Jerusalem Post».
Scoprire il kibbutz di Sanders era diventato un affare di Stato anche in Israele. Il Kibbutz Movement aveva lanciato una campagna su Facebook per trovare testimonianze su dove era stato il candidato democratico e aveva postato una sua vecchia foto con in testa il tradizionale cappello «tembel». Era cominciato anche il complottismo, con commentatori, come Naomi Zeveloff su «Fowardabout», che si chiedevano «il perché» di tanta reticenza.
L’articolo di Melman del 1990 spiega in parte il perché. Si intitolava «Il primo socialista» e rivelava che Sanders aveva visitato Israele ospite di Hashomer Hatzair, un movimento giovanile ebraico dagli ideali socialisti, e aveva passato un po’ di tempo nel kibbutz Sha’ar Ha’amakim, per poi tornare negli Stati Uniti e «dimenticarsi di Israele, il sionismo e il giudaismo».
Non del tutto. Melman ricorda che era stato attratto non tanto dalle origini ebraiche di Sanders ma dal suo dichiararsi «un socialista orgoglioso». E nell’America post-reaganiana del 1990 ci voleva «un bel coraggio». Nell’intervista, però, Sanders aveva affrontato anche temi sensibilissimi, come i rapporti Usa-Israele e la questione palestinese. Con la sua solita nettezza.
«Come ebreo – diceva Sanders nel 1990 – mi vergogno della vendita da parte di Israele di armi ai peggiori regimi del Centro e Sud America. Perché dovete essere i mercenari degli Stati Uniti?». E sul conflitto con i palestinesi sosteneva che l’America «doveva fare pressione su Israele» perché accettasse un compromesso. 
Affermazioni che ora potrebbero ritorcersi contro Sanders in settori della comunità ebraica statunitense. Melman però sottolinea che «nonostante tutte le sue critiche non l’ho mai sentito definirsi anti-Israele o anti-sionista». Anche perché è la stessa biografia di Sanders a testimoniarlo. Il lavoro nel kibbutz, sottolinea Melman, «è un’impronta decisiva nella sua biografia».
L’esperienza nelle comunità agricole era un rito di passaggio per i giovani ebrei americani e apparteneva a un’era che vedeva «migliaia di giovani venire da tutto il mondo per lavorare, fumare, fare la loro rivoluzione sessuale». Quando Israele era «il cocco» di gran parte del mondo per il «suo fresco, pionieristico spirito e il suo idealismo». Quei giorni, conclude Melman, «sono andati».