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 2016  febbraio 10 Mercoledì calendario

Intervista a Del Bosque, l’unico allenatore della storia ad aver vinto Champions, Mondiale e Europeo

Dall’ufficio del marchese Vicente Del Bosque Gonzalez arriva una risata compiaciuta. Al c.t. della Spagna – unico allenatore della storia ad aver vinto Champions, Mondiale e Europeo – stanno raccontando dello striscione che apparve davanti al cimitero di Napoli, dopo la vittoria del primo scudetto con Maradona. «Non sapete cosa vi siete persi». Ma Juventus-Napoli di sabato è solo il primo di tanti duelli Italia-Spagna: da Allegri-Guardiola, a Real Madrid-Roma, fino all’amichevole tra le nazionali del 24 marzo a Udine. Con la testa all’Europeo, per la rivincita di quattro anni fa.
Del Bosque, la sfida di Torino per alcuni è una sorta di Clasico come Barça-Real, che ne pensa?
«Sarà una sfida spettacolare, molto incerta. Il Napoli gioca bene, la Juve è solida, esperta. Però lasciare fuori Inter o Milan dai grandi classici italiani mi sembra esagerato».
Sarà spettatore interessato?
«Certo. Reina è stato una figura importante per noi e sono felice che sia in testa al campionato. Callejon segna con regolarità. Anche Lopez sta facendo bene. E poi c’è Morata, con i suoi alti e bassi: un chico molto forte, che deve dare ancora di più».
Lo juventino ha bisogno di un lavoro mentale extra?
«Credo che il lavoro che fa Allegri con Morata sia fantastico: quando ha dovuto dargli conforto glielo ha dato. Quando ha dovuto essere duro, lo è stato. Alvaro è un ragazzo di carattere, ci piace e lo consideriamo il futuro della nostra Nazionale. Ma deve confermare quello che pensiamo tutti».
Sarà anche la sfida tra Higuain e Dybala: un ex madridista e un giovane che piace al Barça.
«Gonzalo ha mantenuto le promesse da grande giocatore. Ha entusiasmo, aggressività e molta sicurezza davanti alla porta. Dybala sta facendo benissimo: fortunato chi ce l’ha».
Italia-Spagna è anche Allegri contro Guardiola in Juve-Bayern: Buffon dice che la Juve ha solo il 30% di possibilità. È troppo pessimista?
«Sì, perché non credo che ci sia tutta questa differenza tra le due squadre. E la difesa della Juve è molto forte».
Real Madrid-Roma è una missione quasi impossibile per gli italiani?
«Per quello che stiamo vedendo credo di sì».
È più grande la sfida di Ancelotti che allenerà il Bayern o quella di Guardiola che va al Manchester City?
«Quella di Pep. Ancelotti troverà una squadra già ben costruita».
Non è da poco nemmeno la scommessa di Zidane al Real.
«Claro, ma ha una grande materia prima».
Ci sono differenze tra gli allenatori che non hanno mai giocato a livello professionistico, come Sacchi, Mourinho e Benitez e gli altri?
«Non credo che essere stati grandi giocatori sia una condizione necessaria. E nemmeno un limite. Quel che conta davvero è l’arte con cui si guida uno spogliatoio».
È vero che lei fino a 15 anni non ha mai visto il mare?
«Sì, ma di anni ne avevo già 16! Proprio il 9 febbraio, l’anniversario della fondazione dell’U.D. Salamanca: ci portarono ad Aviles sulla costa. Erano tempi di ristrettezze, oggi andare in spiaggia ci sembra normale. Allora c’era solo la calle (la strada ndr )».
La Spagna ha aspettato tanto per tornare a vincere. Le cose attese si gustano di più?
«Sì. E credo che si debba dare un valore a quello che abbiamo ottenuto col nostro stile, perché abbiamo fatto grandi passi avanti. Non so se la Liga oggi sia il campionato migliore. Però Ronaldo, Messi, Bale o Neymar potrebbero essere in qualsiasi altro campionato, ma guarda caso sono in Spagna».
Lei ha vinto cinque volte la Liga col Real. Che centrocampista era?
«Molto lento, ma dicevano che ero veloce col pensiero. E pensavo alla squadra».
Col Real ha avuto come allenatore Boskov, che vi riportò nella finale di Coppa dei Campioni ’81, persa con il Liverpool. Fu un allenatore importante per lei?
«Era fantastico: competitivo, divertente, esigente. Non sapeva solo di calcio, aveva una grande cultura. E una grande umanità».
Dove si trovava quando l’Italia vinse il Mundial ‘82?
«Ero al Bernabeu. Mi è rimasto impresso Altobelli, grande giocatore».
Prandelli ha cercato di cambiare il classico gioco all’italiana, puntando di più sul possesso palla. Conte cerca un gioco più verticale. Che Italia si aspetta?
«Oggi è un calcio più aperto. E l’allenatore deve fare delle scelte in base ai giocatori che ha. Comunque possesso palla e gioco più profondo non si escludono a vicenda. L’equilibrio tra le due cose è l’ideale».
Lei che ha vinto tutto, che relazione ha con il successo e la sconfitta?
«Ha presente la poesia “If” di Kipling? Le due situazioni vanno normalizzate. Siamo in un’epoca di estremismi e di radicalizzazione. Credo che dobbiamo relativizzare tutto. Come diceva Boskov, un allenatore è tanto grande quanto grandi sono i giocatori che ha. Ed è una verità».
Per Conte «la sconfitta è come la morte»: è un’esagerazione?
«No. Quando ci fanno gol io ho una reazione interiore, una specie di terribile calore dentro, che non riesco a controllare...».
Conte parla molto anche di «fame». Può essere più importante della qualità di gioco?
«Alla lunga è meglio avere la qualità. Ma senza avere il controllo delle emozioni dei giocatori, un allenatore non va molto lontano».
La sua Spagna ha sempre la stessa fame?
«È quello che cerchiamo. Ed è la mia preoccupazione per l’Europeo. Per i giocatori delle grandi squadre come Barça e Real non sarà facile ritrovare la tensione agonistica».
La Germania cosa ha più di Italia e Spagna?
«Mi ha colpito la grande umiltà dei tedeschi nel riorganizzarsi, per tornare in alto».
Il Belgio dei giovani talenti sarà il favorito dell’Europeo?
«La storia conta. Ma loro sono tra i candidati. Come Francia, Germania o Italia. Io però ci aggiungo il Portogallo di Ronaldo».
Gli spagnoli giocano sempre di più all’estero. Per lei è un vantaggio?
«È stato uno dei fattori che ci ha fatto crescere. I giocatori maturano più in fretta, si arricchiscono di altre conoscenze».
L’Italia è abbastanza pessimista sul suo calcio. Lei come ci vede?
«Non credo che dobbiate avere complessi di inferiorità. Dovete avere fiducia in ragazzi come Candreva, Marchisio, Verratti».
Cosa deve imparare l’Italia dalla Spagna?
«Noi non crediamo di essere i migliori solo perché abbiamo vinto tanto».
Ma il vostro lavoro sui giovani è stato fondamentale. O no?
«Sì, questo sì. E l’hanno fatto tutti i club. L’importante è credere nei ragazzi della cantera. E utilizzarli quando è il loro momento».
Lei ha sempre mantenuto una feroce divisione tra la sua squadra vincente e la politica. Anche questo la rende tanto speciale agli occhi degli spagnoli?
«La Nazionale è uno spazio intoccabile. Proviamo a guidarla come una famiglia, sapendo che ci sono a volte delle cose che alterano l’unione. Convincere i giocatori migliori che, se siamo tutti uniti, loro possono essere ancora più forti. Questa per me è la chiave».