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 2016  febbraio 10 Mercoledì calendario

I restauri che a Leonardo fanno male

E pazienza se Victor Hugo diceva che il restauro è un «vandalismo». L’attrazione fatale dei francesi per il restauro nacque nell’Ottocento, quando Viollet Le Duc si mise a ricostruire interi castelli partendo da pochi ruderi, e non si è arrestata mai. «È nel loro Dna», assicura l’alsaziano Philippe Daverio. Un Dna che da qualche tempo ha volto lo sguardo su Leonardo Da Vinci, i cui sei olii custoditi al Louvre stanno passando uno a uno sotto i raggi x, gli infrarossi e, infine, sgarzino e pennello del restauratore. Nel 2012 fu la Sant’Anna, la Vergine, il Bambino ad essere restaurata – con il risultato che due conservatori, Ségolène Bergeon Langle e Jean-Pierre Cuzin, si dimisero dal comitato scientifico a causa di un restauro «troppo invasivo». Nel 2015 è stata la volta della Belle Ferronière, alla quale è stata fatto un tagliando prima di mettersi in mostra a Palazzo Reale di Milano per Expo. Ora è la volta del San Giovanni, pure lui in mostra per Expo e nel 2009 a Palazzo Marino, opera che Leonardo tenne con sé sino alla morte, già restaurata e riverniciata una decina di volte. I lavori, che dureranno dieci mesi, serviranno a «restituire leggibilità alla composizione», ha dichiarato il conservatore del Dipartimento dipinti Vincent Delieuvin. «I dettagli ora sono in ombra mentre 10 o 20 anni fa erano visibili». Il che vuol dire che vedremo «magicamente» distinguersi la croce stretta tra le dita della mano, i capelli boccolosi e qualcosa di nuovo, come ormai impone ogni restauro che serve ad attivare il sistema della comunicazione. Sébastien Allard, direttore del dipartimento dei Dipinti, assicura che la prudenza sarà d’obbligo e la vernice rimossa gradualmente, in modo da lasciare intatto lo strato della pittura e le velature.
I restauratori Regina Moreira e Patrick Mandron dovranno dunque alleggerire le vernici per restituire leggibilità all’insieme. «Pur eliminando una buona metà delle vernici aggiunte – ha assicurato Delieuvin – si può prevedere che il quadro resterà in penombra». Il restauro della Sant’Anna ha fatto risaltare il blu del mantello della Vergine, nella Belle Ferronnière è riemerso il rosso del vestito... nel San Giovanni cosa riemergerà dal fondo?
La storica dell’arte Maria Teresa Fiorio, curatrice della mostra Leonardo da Vinci per Expo (catalogo Skira) è stata l’ultima ad analizzare le tre opere: «In entrambi i casi si sono eseguiti ottimi interventi. Sant’Anna era sana, si erano accumulati polvere e sporco, e non hanno tirato via tutto. Ottimi risultati si sono ottenuti anche per la Belle Ferronière. San Giovanni è molto impastato. Se l’intervento sarà condotto con prudenza sarà una buona cosa. Diverso sarebbe intervenire sulla Vergine delle Rocce, che subì un trasporto di supporto nell’800».
Totalmente contrario all’intervento il più noto studioso italiano di Leonardo all’estero, Carlo Pedretti: «Di principio sono contrario al restauro, a meno che ci sia necessità di sopravvivenza. Ma non si deve pulire per restaurare l’immagine come si vedeva al tempo di Leonardo. Questo è un errore. Leonardo pensava che il tempo avrebbe lavorato sulla sua opera. Attenzione, non ci vuole nulla a distruggere il San Giovanni. Questa di intervenire su Leonardo è una mania contagiosa, lo si fa per operazioni pubblicitarie. E poi, prima di restaurare, le opere andrebbero sottoposte ad analisi di laboratori internazionali».
Il San Giovanni è la terza di sei opere di Leonardo al Louvre: la prossima a essere toccata sarà la Gioconda ? «Come proseguiremo non saprei – ha dichiarato nella presentazione Sébastien Allard – facciamo un passo per volta, ma posso già dirvi che non toccherà ancora alla Gioconda». Non ancora. Quindi, sotto con un altro Leonardo (il controverso Bacco o la Vergine delle rocce ?) e ultima la Gioconda.
A chi ritiene impossibile questa eventualità, ricordiamo che tra il 2013 e il 2015 il Louvre ha restaurato anche la Nike o Vittoria di Samotracia, solo in parte rispettando i precedenti rifacimenti. Rien à faire. «In Francia amano il nuovo – chiude Daverio —. Non solo nei dipinti. Un po’ come gli inglesi con i loro Canaletto tirati a lucido, senza che si vedano più le pennellate».