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 2016  febbraio 10 Mercoledì calendario

Il bulgaro Anzaldi e il ritorno dei «panini» in Rai

Narra la leggenda che il sovrabbondante deputato diccì Giovanni Alterio si mangiò un giorno alla buvette 24 panini e cinque crocchette spingendo il collega verde Stefano Apuzzo a regalargli «un sacchetto di ghiande per placargli il vorace appetito». Non meno ingordo, l’onorevole Michele «Epurator» Anzaldi, il più bulgaro dei bulgari dei Guardiani della Rivoluzione renziana, si è lagnato ieri del poco spazio concesso dai tiggì Rai alla sua amata maggioranza. Vabbé lo spazio dato al premier e al segretario del Pd e ai vari ministri incessantemente ritratti nell’operosa quotidianità, ma la maggioranza?
Ha detto proprio così, il segretario della commissione di Vigilanza Rai nell’intervista al nostro Fabrizio Roncone dove, con l’umiltà che lo distingue nonostante vanti un luccicante curriculum di portaborse, portaveline e portavoce, ha sobriamente sparato a zero contro la presidente Monica Maggioni e l’amministratore delegato Antonio Campo Dall’Orto e i soliti Massimo Giannini e Andrea Vianello e Bianca Berlinguer: «Continua a fare sfacciatamente una sorta di “panino”, dove mette insieme governo e opposizione, senza dare voce alla maggioranza. Una distorsione inaccettabile!». Testuale.
Il panino! Erano tre anni che perfino l’Ansa non citava più il «panino». E si riferiva in quel caso a Poldo, l’amico di Braccio di Ferro. Non bastasse, il successore e allievo di Francesco Storace, il primo «Epurator» certificato (lo battezzò così Gianfranco Fini: «Dov’è Storace? Sarà da qualche parte a preparare una lista di proscrizione») rivendica i giudizi assolutori dell’Agcom. Contro la cui lottizzazione politica si schierò a suo tempo lo stesso Paolo Gentiloni del quale il «Novus Epurator» è stato uno dei collaboratori.
Dice quel giudizio dell’Authority per le telecomunicazioni, sventolato dall’Unità e da partitodemocratico.it, che «non è corretto, ai fini di individuare la presenza complessiva di un soggetto politico, sommare la visibilità del presidente del Consiglio dei ministri e degli altri membri del governo con quella degli esponenti della maggioranza». Per capirci: se il premier va da Obama alla Casa Bianca non è automatico che la Rai debba dare lo stesso spazio al M5S e a Forza Italia che quel giorno potrebbero non avere notizie di rilievo.
Ovvio. Il giorno di Obama, però. Ma tutti i giorni? E in ogni caso, come si distingue il servizio «istituzionale» su Matteo Renzi presidente del Consiglio di tutti e quello sul Matteo Renzi segretario del Partito democratico e cioè di una delle botteghe su piazza? Vale oggi quanto valeva ieri: come andava distinto il Silvio Berlusconi premier e il Silvio Berlusconi leader forzista? E le critiche alle tracimazioni televisive valgono solo a seconda di chi tracima?
Dice dunque l’Osservatorio di Pavia che dal ‘94 «svolge l’attività di monitoraggio del pluralismo politico sulle televisioni nazionali, i cui risultati vengono utilizzati dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza Rai», che nel maggio 2015, per citare il mese chiave delle «regionali», il Pd (14,4%) più l’Ncd più i post montiani di Scelta Civica più l’Udc più il Ps eccetera hanno avuto oltre il 20% di spazio più il 22,7 dedicato al governo e il 16,6 alle figure istituzionali spesso identificate dalle opposizioni, a torto o a ragione, come «nell’area di centrosinistra» contro il 13,3% al M5S, l’11,9% a Forza Italia-Pdl, il 4,4% alla Lega e così via. Un equilibrio così così. Ma lì, date le elezioni, erano puntati i fari della legge sulla Par Condicio.
Prendiamo lo spazio distribuito nei telegiornali Rai ad agosto? Ecco il Pd al 24,4% e il governo al 36,9 per un totale del 61,3 più altri tre o quattro punti sparpagliati tra gli «amici». Contro un 11,6% a testa concessi ai berlusconiani e ai grillini e un 4,8% alla Lega. Peggio ancora in ottobre: 29,9% al Pd e 21,4% al governo più frattaglie contro un 7,8% a testa al M5S e a Forza Italia e un 3,3% a Salvini e ai leghisti. Percentuali complessive dei maggiori partiti nell’arco di tutto il 2015: 32,7% di spazio nei telegiornali al governo, 18,4% al Pd, 10,3% a Forza Italia, 9,6% ai grillini, 5% alla Lega Nord. E l’insaziabile Anzaldi, che già aveva sbuffato contro quanti a Rai3 «non si sono accorti che è stato eletto un nuovo segretario, Matteo Renzi, il quale poi è diventato anche premier», ancora si lagna?
C’è chi dirà: è sempre andata così. L’allora presidente ulivista della Rai Roberto Zaccaria, in polemica nel 2001 con le scelte smaccatamente berlusconiane dei canali e dei tg Fininvest, arrivò anzi a teorizzarlo: «La Rai segue la regola dei tre terzi». Un terzo al governo, un terzo alla maggioranza, un terzo all’opposizione. Con una riduzione in campagna elettorale degli spazi al governo e un aumento alle forze in campo: «37% alla sinistra, 38% alla destra». Dieci anni dopo, nel 2011, con la Rai in mano alla destra, ringhiava: «Berlusconi: 768 secondi di tempo di parola e 602 di notizia; Bersani 119 secondi di tempo di parola e 155 secondi tempo di notizia».
Certo fa effetto rileggere Piero Fassino che nel 2004, da segretario dei diessini, contestando stavolta dai banchi dell’opposizione la regola dei tre terzi, sbottava che «governo e centrodestra non sono due cose distinte» e così «il centrodestra parla due volte e noi una sola». Non meno spassosa la tesi opposta di Maurizio Gasparri: «Credo che la Rai complessivamente rispetti l’equilibrio e ciò avviene anche al di là della cosiddetta norma Zaccaria che prevede la divisione di un terzo degli spazi al governo, un terzo alla maggioranza e un terzo all’opposizione…». Insomma, le regole possono essere giuste o sbagliate a seconda se fanno comodo. E così gli editti bulgari …