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 2016  febbraio 10 Mercoledì calendario

La legge sui partiti, le multe ai ribelli e «il fascismo renziano». Scoppia la bufera

Prende la parola e quasi urla, Alessandro Di Battista. «Il codice di comportamento che abbiamo scritto per chi si candida a Roma è un motivo di orgoglio». Il deputato 5 stelle, in conferenza stampa con l’altra esponente romana del direttorio -Carla Ruocco – e con le influenti Paola Taverna e Roberta Lombardi, chiarisce un punto: «Nella capitale porteremo avanti la politica del pugno duro e lo faremo a cominciare da noi». Attacca il Pd, la politica dei partiti: «In questo Parlamento diventato un postribolo di dignità centinaia di persone hanno cambiato casacca. Noi il vincolo di mandato ce l’abbiamo nel programma. Non c’è una di quelle regole – la multa di 150mila euro, l’estensione della responsabilità di alcune decisioni ai garanti, l’obbligo di trasparenza sul proprio lavoro – che non sia giusta. Anzi, invitiamo tutti gli altri partiti ad applicarle».
Parla per ultimo, da leader, in piedi. Risponde al vicesegretario pd Lorenzo Guerini che aveva detto: «Le sanzioni pecuniarie per chi dissente oltre a sfiorare il ridicolo confermano l’esigenza di una nuova legge sui partiti in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione». «Fascismo renziano», lo ha definito su Facebook il deputato Riccardo Fraccaro. E Di Battista: «Guerini pensi ai cinesi in fila alle primarie che negli altri posti si chiamano mafia, ‘ndrangheta, camorra, e che loro chiamano integrazione». Poi: «Il Pd è contro il vincolo di mandato perché è un partito fondato sui voltagabbana».
Dice di non sapere se il regolamento verrà esteso alle altre città al voto, che ogni gruppo deciderà come regolarsi. Ma è difficile che sia così, visto che a Torino – dove la candidata sindaco Chiara Appendino negava che per loro esistessero regole simili – Repubblica ha scovato un documento che prevede 2000 euro di multa per ogni mese di dissenso. E che dai vertici filtra un’aria tutta diversa: dopo i casi di Gela, Quarto, Comacchio (tutti sindaci espulsi), dopo le grane di Ragusa, Livorno, Bagheria e l’eterno conflitto con Parma, servono regole da imporre a chi sceglie di candidarsi. Poco importa quanto siano impugnabili quei contratti: serve esser chiari e ogni città declinerà questa necessità a suo modo, con contratti diversificati (del resto era accaduto anche ai candidati in Parlamento, di sottoscrivere una dichiarazione in cui si impegnavano alla restituzione dello stipendio e a delegare la scelta degli uffici della comunicazione alla Casaleggio Associati, mentre per quelli in corsa al Parlamento europeo era prevista una multa di 200mila euro in caso di violazione dei principi a 5 stelle). Il duello col Pd continua a distanza: il capogruppo democratico Ettore Rosato annuncia che la legge sulla democrazia interna ai partiti sarà calendarizzata a marzo. Il Movimento insorge: «Vogliono impedirci di candidarci».
Ma chi sono i garanti che tanto peso avranno nella gestione delle città amministrate dai 5 stelle in caso di vittoria alle amministrative? «I garanti sono Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio», è la risposta di Di Battista. Al fianco dei candidati sindaci e delle future possibili giunte, però, ci sarà una «squadra» fatta anche di parlamentari. Una sorta di commissariamento che potrebbe servire a Roma, dove nessuno degli aspiranti alla poltrona di sindaco convince i vertici.
C’è poi una domanda cui tutti evitano di rispondere: «Chi ha deciso la libertà di coscienza sulle unioni civili?». Paola Taverna rivendica la bontà della scelta, Carla Ruocco fa sapere di pensarla allo stesso modo. Ma sulla paternità della decisione che ha spaccato i gruppi parlamentari, nessuno, ancora, risponde.