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 2016  febbraio 10 Mercoledì calendario

Per venire a Sanremo c’è chi s’è preso le ferie e con 672 euro ha fatto l’abbonamento per l’intera settimana

La realtà sa sempre come stupirti. Sotto la pioggia, con una coda che non sarà meno lunga di un paio di centinaia di metri, mentre in ogni altro momento della giornata quasi ovunque mettiamo al bando la complessità, davanti al teatro Ariston di Sanremo c’è un uomo che al posto di “biglietto” preferisce dire “titolo d’ingresso”. Favorite il titolo d’ingresso. I cani poliziotto annusano, gli uomini che li tengono al guinzaglio perquisiscono. Prima di essere la serata della musica, questa si presenta come la serata degli scanner. «Meglio arrivare in ritardo ma sentirsi più sicuri». Se non altro la gente l’ha presa bene. Sono le misure anti-terrorismo applicate e inasprite per questo festival. Un varco che tecnicamente chiamano di pre-filtraggio è sistemato a distanza debita dall’ingresso. Hanno piombato i tombini e rimosso i cestini dei rifiuti nei paraggi, come ormai si usa fare, di nuovo c’è che stavolta si deve entrare come in uno di quegli stadi di calcio che hanno finito per svuotare con l’intenzione di renderli più difesi: con la carta d’identità ben in evidenza fra le mani. Più il titolo d’ingresso. E piove.
Alle 20.28 Carlo Conti s’affaccia dal primo piano del teatro e saluta la folla. Raccontano che tempo fa venissero da molto lontano certe carovane di sostegno a questo o a quel cantante. Portavano applausi in dono, tipo i re magi. Gli ultrà della canzone si piazzavano in sala e facevano partire la claque. Intorno all’Ariston era così fiorita perfino una piccola industria che si faceva trovare pronta all’incursione. Una profumeria all’angolo di corso Matteotti ingaggiava per l’occasione un parrucchiere bolognese, in modo da offrire ritocchi volanti alle acconciature delle signore reduci dal lungo viaggio. Per il primo Sanremo, 1951, il pubblico non era neppure previsto.
Amilcare Rambaldi, l’organizzatore, inizialmente prese in considerazione l’idea di tenere il festival su una nave da crociera, poi per certe questioni burocratiche virò sul Casinò, anzi nel salone delle feste. Non c’erano biglietti, ma pochi clienti ai tavoli che consumavano e ascoltavano canzoni. Il trasferimento in teatro e la nascita di questa speciale categoria antropologica detta “pubblico dell’Ariston” risale al 1977. Tre serate, una sola in tv, le prime due alla radio. Si andava perciò per esserci, non per far vedere di esserci stati.
La folla che anche stavolta ha comprato il biglietto per il festival nasconde frammenti d’Italia imprevedibili. Come la storia della caporeparto di urologia a Imperia che ha regalato di tasca sua una serata all’Ariston a due delle sue infermiere, Franca e Claudia. «È un’eccellenza della sanità ligure. Il reparto era a Sanremo, adesso l’hanno trasferito e per qualche mese andiamo su e giù per aiutare ad avviare il lavoro». Due biglietti in platea nella sera di Elton John e Laura Pausini sono un bel modo di dire grazie, e sorridersi, e lavorare uno affianco all’altro. C’è la media borghesia romana di Giuseppe e Cinzia, due nomi “vendittiani”, che a Sanremo posseggono la seconda casa. C’è la piccola provincia che ha fatto fortuna in Germania, come Mario, salernitano di Teggiano, che s’è preso una settimana di ferie e con 672 euro ha fatto l’abbonamento per l’intera settimana. «Non sono sposato. Per questo me lo posso permettere». La signora che minaccia l’Ariston con il suo cappotto in pelle rosso viene da Livorno. È fuori di sé. Grida che è «tutto un magna magna di Roma». Roma? «I biglietti non si possono prenotare online. Si sa che la distribuzione dei posti la decidono a Roma. Io vengo qui da undici anni, ma questo mi sa che è l’ultimo».
Torna ogni anno pure Alfio Barbagallo, siciliano di Lentini. Si presenta come “il ginecologo della Casa Bianca”. È serissimo. Tecnicamente non dice neppure il falso. Nel senso che davvero fa il ginecologo. Ma non ha fatto partorire Michelle Obama. Per la verità nemmeno Laura Bush o Hillary Clinton. La Casa bianca, con la b minuscola, era l’appartamento in cui Chiambretti nel 2008 aveva raccolto un improbabile gruppo d’ascolto, in purissimo Markette Style. Mentre Macera Gaetano, che si presenta cognome e nome, come al servizio di leva, distribuisce cartoncini con il suo numero di cellulare. In arte Super Sgaffonius. Promette sketch comici sull’antica Roma. I suoi cavalli di battaglia sarebbero il boss della Garbatella e il Burino del Paese. «Ho comprato i biglietti per tutta la settimana. Sono in fila anche nei prossimi giorni. Casomai domani faccio vedere qualcosa». Casomai.