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 2016  febbraio 10 Mercoledì calendario

Cos’è successo ieri a Sanremo

Alberto Mattioli per La Stampa
Tanto rumore per nulla, o quasi. La temutissima ostensione di Elton John in pieno psicodramma nazionale sulle unioni civili si è risolta nell’innocuo show del Grande Ospite Internazionale.
Come se il copione l’avessero scritto Salvini o Gasparri, insomma chi da destra aveva intimato a mamma Rai di non trasformare l’ostensione del più celebre marito omosex del mondo in uno spot per il matrimonio gay. 
Alla vigilia Gianka Leone, direttore di Raiuno, si era affidato alla ben nota professionalità di Carlo Conti e alla democristiana prudenza consustanziale alla rete ammiraglia. E così sir Elton, ormai uguale all’imitazione che ne fa Crozza, è stato sbrigato senza incidenti, dunque senza polemiche. 
È venuto per cantare, ha cantato, due battute sulla carriera, grazie e arrivederci. Da segnalare il suo «Non pensavo di diventare padre», subito bilanciato da un omaggio agli uomini di Chiesa con cui ha lavorato facendo beneficenza in Africa «con approccio cristiano». Tutti contenti anche perché lui, prudente o collaborazionista, ha lasciato a casa non solo i due figli, ma anche il marito David. Nemmeno la Meloni avrebbe nulla da obiettare. 
L’arcobaleno annodato
E così, alla prima serata di Festival, l’attualità politico-sociale si è risolta in un innocuo nastro arcobaleno annodato all’asta del microfono da Noemi, Arisa ed Enrico Ruggeri. È il Rainbow della bandiera gay ma, a parte il fatto che mancavano almeno un paio di colori, la citazione è talmente criptica che probabilmente non ha infastidito nemmeno Adinolfi.
Per il resto, un Sanremone dei più tradizionali. C’era tutto, ma proprio tutto: il bravo presentatore, il ricordo dei vincitori passati, la scalinata killer, l’omaggio ai cari estinti, iniziando da Bowie, la rutilante scenografia: business as usual. Conti? Non si sa se sia più veloce o più abbronzato, cerca il ritmo, e in effetti come buttadentro è impeccabile. Uomo tranquillo, Medioman, bravo soldatino, l’Abbronzatissimo è una sicurezza senza sicumera. E, in questi tempi di Rai nel mirino, con il kamikaze renziano Anzaldi che rilascia interviste incendiarie contro la dirigenza e un valzer di poltrone prossimo venturo, bene evitare scandali e polemiche. Meglio troncare, sopire e rifugiarsi nella tradizione consolidata. L’usato sicuro, insomma.
Le novità sono solo due. La prima è il valletto bellone, promosso co-conduttore però confinato all’«ed ecco a voi» più scontato (ma curiosamente sempre con una mano sullo stomaco piattissimo: strizza o colite?). Gabriel Garko entra presentato come «grande attore», e vabbé: poi però si limite a sbattere l’occhione verde a favor di telecamera. Lo scetticismo, alla vigilia, era palpabile. Ma insomma di papere non ne ha fatte, disastri non ne ha combinati: decorativo e abbastanza inutile. Madalina Ghenea, solo valletta e quindi per definizione solo decorativa, ha fatto, anche lei, il minimo sindacale. Magari i ricordi dell’infausto tinello romeno della sua infanzia erano proprio indispensabili.
Seconda novella, stavolta lieta, una valletta non vallettante come Virginia Raffaele. Anzi, Sabrina Ferilli, perché ha fatto tutta la serata nei panni XXL della diva de’ noantri. La Raffaele non è solo mostruosamente brava ma anche l’unica a uscire dallo schema presentazione-canzone-bell’applauso, e senza bisogno di stare incollata al gobbo. E la sola, è chiaro, ad avere autori spiritosi. Battuta cult, già consegnata a futura memoria: «E basta co’ ’sto Elton John, dicono che è uno spot per gli omosessuali... Quando ce stanno i Pooh, che è? ’Na marchetta per l’Inps?». Lei il Festival l’ha già vinto. Anche la Ferilli, quella vera, approva sul web: «Raffaele è la numero 1. Intelligente e acuta. ’Tacci sua!».
Il resto è cronaca spicciola. Laura Pausini, ovazionata, canta moltissimo e quando parla è un mix di avvolgente cordialità romagnola e giusto orgoglio nazionalpopolare che a Sanremo ci sta sempre bene. «L’Italia è casa mia», e si commuove, sorbole. Rispetto al resto della compagnia cantante, lei è su un altro pianeta. C’è l’atleta centenario Giuseppe Ottaviani che decanta i meriti dell’insalata, la camicia di Caccamo è griffata da uno stilista chiaramente daltonico, i falsetti di Fragola gridano vendetta, Aldo, Giovanni e Giacomo sono divertentissimi ma non nuovissimi. Ordinaria amministrazione festivaliera, insomma. 
Ah, sì: c’erano purtroppo anche le canzoni. Qui ognuno si sarà fatto la sua idea. A molti hanno fatto venire in mente quella «merde tartinée» che, secondo Voltaire, Dio offrì nel deserto al profeta Ezechiele. Che, poveretto, non poteva nemmeno cambiare canale. 


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Alessandra Comazzi per LaStampa
Questa potrebbe essere la cronaca di un insuccesso annunciato. Senza peraltro dimenticare la storica, contraddicente sentenza di Piero Chiambretti, «comunque vada sarà un successo». Insomma, la vera curiosità, inutile negarlo, è conoscere stamattina intorno alle 11 gli ascolti del Festival numero 66, prima serata. Perché può andare bene, può andare male, può andare così così.
Ieri il direttore di Rai 1, chissà ancora per quanto, Giancarlo Leone, ha messo le mani avanti. Ha sottolineato il calo fisiologico delle seconde edizioni realizzate dallo stesso conduttore, Morandi, Fazio, persino Pippobaudo. E, a proposito di Fazio, il suo Festival del 2014 ottenne, nella media delle cinque serate, il 38,5 di share, la percentuale degli ascolti. Quello di Carloconti del 2015, raggiunse la vetta del 48,5.
Dice Leone: «Se arriviamo al 43, siamo lietissimi», lasciando intendere che sarà inteso come grasso che cola tutto quello che supera il 40. Fare previsioni è sempre difficile, soprattutto sul futuro, come diceva Bohr, il fisico, che se ne intendeva. E così il conduttore, che ha il contratto da direttore artistico fino al 2017, sostiene da tempo: «Non è certo che condurrò». In pratica, la possibilità di una via di fuga.
Prima serata, dunque. Punti di forza: gli ospiti, Laura Pausini, Aldo Giovanni e Giacomo, Elton John, tutti all’onor del mondo e funzionali. Non hanno deluso, applausi convinti per loro. La scenografia, maestosa e sberluccicante il giusto.
Virginia Raffaele: dopo lunghe ore di trucco, in perfetto stile Tale e quale show, si è presentata, sulle note della colonna sonora della Grande bellezza, vestita e conciata da Sabrina Ferilli. L’idea è quella di affidarle, ogni sera, il ruolo che fu di qualche illustre valletta o co-conduttrice che dir si voglia in termini politicamente più corretti. Ha ricordato, la bella circense, di essere stata al Festival vent’anni fa, accanto a Pippo Baudo: «Allora mostravo la mercanzia, stasera c’ho meno da mostrà e più da dì. Carletto, scegli: Cirinnà, Giubileo, la Rai?», ma sono battute, naturalmente. Il pugno di ferro nel guanto di velluto è Carletto non prevede digressioni politiche. E quello che il video lascia capire è che la politica non gli interessa proprio: deve essere per questo che piace tanto agli italiani. La Raffaele è bella e pensante, ha funzionato molto bene. Ancorché con la mordacchia.
Punti neutri: la presenza di Madalina Ghenea. Molto coreografica di sicuro, ma bellezza fungibile. Neutralità pure per Gabriel Garko, che per bello è bello, non parla molto bene, legge a fatica, è un po’ legato, ma poiché, come ha detto, gli piace piacere a tutti, non è certo un elemento negativo nel gioco pop del Festival. Pop pure il centenario sportivo, il signor Ottaviani, mandato in onda presto, quando si immagina che i centenari siano ancora svegli: ma non va dimenticato che più si invecchia meno si dorme.
Punti deboli: le canzoni. Al primo ascolto, bruttine davvero, una peggio dell’altra. Brillavano per contrasto alcuni vecchi brani d’antan, che vinsero Sanremo nel passato, riproposti dalla sigla. La lunghezza del brodo; la complessiva perdita di mordente. Il commento più bello: quello di un amico di Facebook, Francesco Serviente: «La Raffaele è bravissima nell’imitazione di Gabriel Garko».