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 2016  febbraio 09 Martedì calendario

Tutta colpa della politica, non dell’economia

Di fronte alla bufera che si è abbattuta sui mercati in questo inizio di 2016, viene da chiedersi chi abbia aperto il vaso di Pandora dal quale sono usciti improvvisamente tutti i mali del mondo. La crisi cinese, quella dei Paesi emergenti, la debolezza delle banche europee, fino all’ennesimo dramma greco: perché questi problemi, che erano già evidenti nel 2015, proprio ora assumono caratteri drammatici sui mercati globali? La risposta non va probabilmente cercata nell’economia. Né in chissà quale cospirazione. Va invece cercata nella politica, intesa in senso lato: se si guardano tutti i focolai di crisi del 2016, si scopre infatti che quasi sempre c’è dietro una scelta politica sbagliata, comunicata male o quantomeno discutibile. Invece di risolvere i problemi, troppo spesso la politica li crea.
Prendiamo, ad esempio, il caso delle banche. Quelle italiane crollano in Borsa per colpa dei crediti in sofferenza, arrivati a 201 miliardi di euro. È vero che si tratta di un fardello pesante, ma è anche vero che non è comparso all’improvviso nell’anno nuovo: nel 2015 i loro bilanci erano identici. Eppure l’anno scorso nessuno si preoccupava, tanto che a Piazza Affari gli istituti creditizi hanno guadagnato il 14,8%. Analogo discorso per le banche tedesche, che oggi crollano in Borsa perché hanno il bilancio pieno di titoli tossici. Ma questi problemi i colossi tedeschi come Deutsche Bank se li trascinano da anni: perché, dunque, proprio ora la Borsa li punisce? La risposta è ovvia: perché nel 2016 (per una scelta politica) è entrata in vigore la normativa sul bail-in, che ha reso strutturalmente più fragile l’intero sistema bancario europeo. Insomma: non sono peggiorati i problemi, sono cambiate le regole per risolverli. Proprio l’Unione bancaria che avrebbe dovuto portare stabilità nel sistema creditizio europeo, paradossalmente ha invece creato incertezza.
Sulle banche si sono poi abbattuti altri “missili” politici. Quelle italiane soffrono in Borsa anche per effetto del decreto Salvabanche dello scorso novembre, che ha costretto la Popolare dell’Etruria e Banca Marche a svalutare i crediti in sofferenza al 17,5%. Ancora una volta una decisione politica (presa più in Europa che a Roma) ha gettato il panico su tutte le altre banche, perché se fossero costrette a subire la stessa “cura da cavallo” registrerebbero perdite intollerabili in bilancio. C’è poi un altro dibattito (sempre politico) che pesa non poco: il mercato sa che la Germania punta a costringere le banche del Sud a ridurre i titoli di Stato nei loro bilanci. Quelle italiane detengono 452 miliardi di euro di BTp: se dovessero smobilizzarne una parte, i contraccolpi sarebbero evidenti. Ecco perché il mercato ha paura e, mentre le banche crollano in Borsa, lo spread tra BTp e Bund sale. Non importa se questi timori siano fondati o meno (la Bce continua a smentire che le banche italiane saranno costrette a maxi-svalutazioni e il dibattito sui titoli di Stato probabilmente non porterà mai a nulla): il punto è che tutto questo crea incertezze inutili.
E discorsi simili si possono fare su tanti altri settori. Per esempio quello petrolifero. Uno dei motivi per cui il prezzo del greggio crolla è infatti squisitamente politico: l’Arabia saudita sta combattendo una battaglia internazionale per sbaragliare la concorrenza di Iran (appena tornato sul mercato con la fine delle sanzioni), Stati Uniti (che con la tecnica della frantumazione idraulica sono diventati grandi produttori di greggio) e Russia. L’Arabia continua dunque a produrre petrolio al massimo, costringendo gli altri a fare altrettanto, sperando che il crollo del prezzo metta in ginocchio i concorrenti. Dunque il tracollo del greggio, che sta mettendo in crisi le Borse mondiali, è anche frutto di una scelta ben precisa.
Come in fondo è la politica cinese a preoccupare i mercati. Che la Repubblica popolare abbia seri squilibri strutturali infatti non lo scopriamo oggi. Che le sue aziende abbiano un debito pari al 160% del Pil era noto già l’anno scorso. Come si sapeva che la sua economia fosse in frenata. Eppure il 2015 si è chiuso per la Borsa di Shanghai con una performance del 9,4%. Quest’anno, invece, la maldestra risposta politica a questi problemi ha maturato nei mercati la convinzione che il Governo cinese non sia all’altezza della sfida epocale che si trova di fronte. E questo alimenta la sfiducia.
E che dire dell’ennesimo caos in Grecia??Non è forse politico? E non è la politica monetaria ondivaga della Federal Reserve Usa a creare ulteriore incertezza sui mercati? Bene inteso:?questo non significa che nel mondo non ci siano problemi. Anzi, ce ne sono di giganteschi. L’economia cinese, il debito dei Paesi emergenti, la fragilità delle banche europee:?nessuno mette in discussione che questi siano problemi seri. E nessuno mette in dubbio che la speculazione sguazzi nella volatilità. Ma la politica dovrebbe trovare le soluzioni, non alimentare l’incertezza.