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 2016  febbraio 09 Martedì calendario

I 100 anni di Vogue, in mostra a Londra. Così lo stile ha cambiato il mondo

«La moda ti viene offerta, lo stile te lo scegli» diceva Lauren Hutton. E, per quanto riguarda Vogue non si è mai trattato semplicemente di vestiti, bensì dell’impalpabile «zeitgeist» – lo spirito del tempo. Nella mostra che celebra i cento anni della rivista alla National Portrait Gallery (11 febbraio/22 maggio) passa davanti agli occhi la storia culturale dei mutamenti sociali. Da cent’anni Vogue ha il polso della situazione; è sopravvissuta a guerre e recessioni. Attraverso le sue pagine vediamo immagini e icone trasformarsi sotto i nostri occhi mentre le donne rivedono ciò che avrebbero voluto essere; a partire dal 1916 quando i riferimenti erano le soubrette e le duchesse; quindi ragazze dell’alta società e stelle del cinema; poi altezze reali e rockstar, fino all’attuale mito della fama fine a se stessa.
Mente e corpo
Conde Nast, l’editore che ha «immaginato» Vogue, non solo credeva che «quando una giovane donna compra una copia di Vogue, spera di trovare l’ingrediente magico che le permetterà, in maniera non meglio precisata, di fare un passo in avanti rispetto a ieri», ma pensava anche che le menti dovessero essere eleganti come il corpo e informate su arte, politica e scienza. Così si potevano trovare fianco a fianco un articolo sul «Debito della Gran Bretagna» e uno sul «Ritorno del punto vita». La moda non era una frivolezza, ma una delle arti decorative. Vogue citava Coco Chanel: «La moda non esiste finché non scende nelle strade. La moda che resta nei saloni non è molto di più di un costume da ballo».
Le guerre
La Prima guerra mondiale – in cui le donne lavoratrici di tutte le classi ebbero un ruolo essenziale – cambiò tutto, comportamenti, società, politica e non a caso anche l’immagine femminile tanto nell’aspetto fisico come nelle aspirazioni. Arrivarono pantaloni e gonne corte, mentre la scarsità di zucchero e burro insieme all’esercizio fisico rendevano le donne più sottili e atletiche: più sportive come Coco Chanel. Tutto questo imponeva indumenti intimi più semplici, mentre la colonna sonora del tempo diventa il jazz: «Gli uomini non balleranno con te se sei tutta bardata». I corsetti impediscono anche di sciare, di giocare a tennis e a golf; non solo di ballare la Black Bottom come Josephine Baker. Questo è il mondo di Vogue negli Anni 20 e 30 con l’arrivo della moda come fenomeno di massa per ragazze che badano ai soldi a cui Vogue insegna come vestirsi senza spendere capitali; almeno fino al 1939-48 quando la moda ai tempi del Blitz divenne «governativa».
Le severe regole di risparmio imposte nella produzione industriale di abbigliamento, i cosiddetti «Utility clothes», e le nuove fibre artificiali (risultato delle nuove tecnologie messe a punto in tempo di guerra), danno vita alla popolarizzazione della moda nel dopoguerra, e al suo imporsi come fenomeno giovanile negli Anni 60 quando la Swinging London è il cuore beat del mondo. David Bailey fotografando Jean Shrimpton in pose poco adatte a una signora porta il sesso sulle pagine patinate di Vogue. Mary Quant fu ricevuta dalla Regina con la minigonna che era il suo marchio di fabbrica.

I fotografi

Nessun fotografo era «arrivato» fino a che non aveva lavorato per Vogue: Cecil Beaton, Man Ray, Horst, Lee Miller, Norman Parkinson, Irving Penn, Lord Snowden, Avedon, David Bailey, Donovan, Bruce Weber, Herb Ritts, Helmet Newton, Mario Testino, Nick Knight e Tim Walker e molti altri. Come dice Robin Muir, curatore della mostra: «I fotografi di Vogue non sono solo i grandi nomi del mondo della moda, sono semplicemente i grandi nomi della fotografia». Dice Alexandra Shulman, attuale responsabile di Vogue, «siamo da sempre interessati alle novità, ai nuovi talenti, più che alle persone già affermate». Così per questa mostra è lei stessa a scegliere i ritratti fatti negli Anni 50 dal grande Clifford Coffin dell’allora giovanissimo pittore Lucien Freud e di Gore Vidal; per i primi Anni 80 Salman Rushdie e Rupert Everett nudo fotografati da Snowden; Uma Thurman quindicenne di Sheila Metzer nell’85 e per il 93 la storica nascita di una futura superstar con la foto di Corinne Day di una «impertinente ragazza di Croydon» che si chiama Kate Moss.
Realismo magico
Il curatore Robin Muir identifica un tema comune di realismo magico a partire dal padre fondatore della fotografia di Vogue, Cecil Beaton, con la sua «Soap Suds» datata 1929 – una fantasia di palloncini, cellophane e debuttanti – fino agli scatti fuori dagli schemi dei giorni nostri, Nick Knight che nel 1996 fotografa una perla nera nella bocca rossa di una modella e nel 2008 Tim Walker con la sua Alice in Wonderland, un ritratto di Helena Bonham Carter in un ascensore di vetri collassato e di Karen Elsom a letto con un coccodrillo. Questo filo conduttore va dal famoso ritratto surrealista di Horst del 1939, una modella senza braccia come una statua greca, ma con un corsetto di Detolle, a Clifford Coffin che nel 1947 ritrae Wenda Rogerson in abito da ballo sulle scale in rovina di un palazzo di Grosvenor Square bombardato durante un blitz tedesco. La moda così, per usare le parole di Shakespeare, diventa davvero «il modello del tempo».
(Traduzione di Carla Reschia)