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 2016  febbraio 07 Domenica calendario

La tolleranza-zero è una favola per gonzi. Parola di Gianni Mura

Diyarbakir è la capitale del Kurdistan turco. Nel calcio (serie C) è rappresentata dall’Amedspor, che nella coppa nazionale fa un po’ come l’Alessandria. Eliminata una squadra di A, il Bursaspor, con un 2-1 fuori casa, conquista il diritto di affrontare il Fenerbahçe, primo in serie A, nei quarti di finale. Gara d’andata mercoledì a Diyarbakir, ore 12. Sempre che si giochi. La federcalcio ha vietato l’accesso allo stadio ai tifosi dell’Amed, “colpevoli” di cori filocurdi. Già la polizia aveva effettuato un centinaio d’arresti. Dopo il 2-1 il centrocampista Deniz Naki, autore di un gol, aveva scritto su Facebobok: “La vittoria è dedicata a quelli che hanno perso la vita o sono rimasti feriti in questi tempi di persecuzione che proseguono ormai da 50 giorni Siamo fieri di essere un piccolo spiraglio di luce per la nostra gente. La squadra non si è sottomessa e non si sottometterà. Lunga vita alla libertà”. Naki, di origini curde, è nato in Germania 26 anni fa, ha giocato nella nazionale tedesca Under 19 oltre che nel Bayer Leverkusen, nel St.Pauli, nel Paderborn. In Turchia era approdato al Gençlerbirligi di Ankara, in A. Aveva chiesto il trasferimento dopo essere stato aggredito per strada: aveva espresso solidarietà alle donne e uomini curdi che combattevano contro l’Isis. Sul braccio destro ha una parola tatuata: azadi (libertà).
SQUALIFICA per 12 giornate per “propaganda ideologica” a Naki e multa di 19.500 lire turche (circa 6mila euro) per “comportamento antisportivo”. Una squadra dell’antiterrorismo ha perquisito la sede del club: sembrava (ma non s’è avuta conferma) che da lì fosse partito un messaggio inneggiante al Pkk. Noi non giocheremo, hanno detto i dirigenti dell’Amed, se sarà vietato l’ingresso ai nostri tifosi. Se così non avverrà le due tifoserie saranno in qualche modo unite: anche quella del Fenerbahçe è molto critica nei confronti di Erdogan. Staremo a vedere, con un po’ d’apprensione. Quello che succede negli stadi raramente è casuale. Da uno stadio partì la cosiddetta Guerra delle 100 ore tra El Salvador e Honduras, ben narrata da Ryszard Kapuscinski: quattro giorni con 6mila morti e 15 mila feriti. Da uno stadio (ricordate Boban?) le scintille di un incendio spaventoso nell’ex Jugoslavia. In uno stadio egiziano (Port Said) una strage con pesante repressione e condanne a morte. Noi stiamo relativamente meglio, il menù degli ultimi giorni ha portato in tavola finocchi, zingari, ululati e il contorno (merda) più presente nelle frasi, nei cori.
ULTIMO bersaglio, Koulibaly. Non sto nemmeno a discutere se sia giusto oppure no chiudere le curve. Ogni sanzione all’inciviltà (qui riunisco razzismo, omofobia, xenofobia, discriminazione territoriale) non sarà mai troppo severa. Bravo Irrati a sospendere la partita, bravo Koulibaly a ricordarsi di ringraziare l’arbitro, bravo pure Keita a uscire dal campo abbracciato a Koulibaly, pur immaginando quante gliene avrebbero dette tifosi suoi (non tutti, ovvio). È un sogno immaginare che non solo la squadra del giocatore preso di mira esca dal campo (Sarri deve averci pensato) ma anche l’altra. Ma le decisioni le prende l’arbitro e l’arbitro può solo interrompere la partita ma non decretarne la definitiva sospensione. Per questo serve l’assenso di un funzionario di polizia che non lo darà mai, per motivi di ordine pubblico, per evitare guai peggiori, e allora avanti così, tra multarelle e chiusurine.
La tolleranza-zero è una favola per gonzi, una formuletta vuota. A dirigere la musica restano gli incivili, la maggioranza dei tifosi magari non acconsente ma tace. La situazione è questa, a tenere alta la temperatura ci saranno sempre gli anonimi del web. Negli stadi non si fuma: bene, se serve a migliorare l’atmosfera. Resta la curiosità di vedere chi andrà in curva o in tribuna cosiddetta d’onore a controllare e provvedere. L’atmosfera, insomma quel che si respira, migliorerebbe di molto se non si pensasse solo ai polmoni ma anche ai cervelli. Con questi e altri organi interno ammetto pubblicamente di aver tifato ieri per il Leicester di Claudio Ranieri (8) sul campo del City. Ha vinto 3-1, la squadra in blocco costa meno del solo David Silva, diceva ieri Repubblica, definendola sfida impossibile nel titolo. Ora, non è che il Leicester sia il Chievo della situazione: il suo proprietario Srivaddhanaprabha è al nono posto della lista dei presidenti della Premier. Povero non è, ma è certamente assai meno facoltoso degli emiri del City con i loro petrodollari.
La classe operaia, penso a Vardy, continuerà a non andare in paradiso, e in questo caso forse non vincerà lo scudetto (ma perché no?). Ma qualche dispiacere può darlo e forse qualche dubbio farlo venire a quelli che dicono che i soldi sono tutto, nel calcio come nella vita.