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 2016  febbraio 06 Sabato calendario

Attacco tedesco alle banche: la Merkel pretende una garanzia più alta sull’ammontare di bot e btp comprati dagli istituti di credito, addirittura fino al 70 per cento del valore nominale

Non è chiaro quanto il pericolo sia stato realmente percepito a palazzo Chigi. Perché l’ultima mossa studiata dai burocrati dell’Unione europea e, manco a dirlo, immediatamente sostenuta dalla Germania, potrebbe scatenare una nuova tempesta sul debito pubblico italiano. Bruxelles, con la sponda di Berlino, sta studiando un durissimo giro di vite su bot e btp. Il colpo basso all’Italia sarebbe indiretto: l’idea di fondo è rivedere, rendendoli più stringenti, alcuni parametri dei bilanci delle banche; verrebbe richiesta una garanzia più alta sull’ammontare di bot e btp comprati dagli istituti di credito, addirittura fino al 70 per cento del valore nominale. La stretta spingerebbe le banche italiane, che oggi hanno 400 miliardi di euro di debito pubblico e sono i maggiori detentori, a liberarsi di una parte di questi asset finanziari non più «a rischio zero». L’aumento dell’offerta sul mercato farebbe prima calare il prezzo e, quindi, farebbe salire il rendimento che lo Stato a quel punto sarebbe costretto a riconoscere ai sottoscrittori. La scossa, più o meno velocemente, arriverebbe dalle banche al Tesoro. Il blitz in salsa europea, come accennato, potrebbe aprire le porte a un’impennata dei tassi di interesse, con lo spread tra i titoli del nostro Paese e quelli emessi dai tedeschi che potrebbe improvvisamente schizzare. Se a palazzo Chigi il campanello non è suonato, sui mercati, invece, la tensione comincia, piano piano, a farsi sentire. Tant’è che negli ultimi giorni il differenziale di rendimento è progressivamente salito fino ad arrivare ai 126 punti base della chiusura di ieri: è il livello più alto da settembre scorso. Nessuna allarme rosso, per carità. Tuttavia, qualche segnale di tensione c’è. Investitori e analisti stanno annusando la bufera. Sui giornali se n’è scritto davvero poco. Il primo warning su Milano Finanza a metà gennaio, ieri la seconda puntata sul Corriere della sera che ha riferito del piano sostenuto dal ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble. Piano che vorrebbe mettere la parola fine a un «privilegio» della regolazione bancaria attuale, secondo la quale i titoli pubblici sono appunto risk free. Di qui ad alzare l’asticella al 70 per cento del valore nominale, però, ce ne passa. Schauble in ogni caso va per la sua strada consapevole che l’Europa è nella stessa direzione, col Parlamento di Strasburgo che ha già messo sul piatto, proprio su iniziativa della Cdu tedesca, un abbozzo di risoluzione. Certo, fanno notare alcuni esperti del settore, l’orizzonte temporale non è breve: tra un passaggio e l’altro, l’approvazione definitiva arriverebbe non prima di due anni. Ma ai mercati non sempre è necessaria la pubblicazione di un decreto sulla Gazzetta ufficiale. E l’indirizzo politico sembra ormai definito. C’è chi ritene l’atto politico sufficiente a muovere i quattrini, quindi a portare lo spread a livelli preoccupanti: e per abbattere Matteo Renzi potrebbero bastare meno dei 500 punti che nel novembre 2011 scalzarono Silvio Berlusconi da palazzo Chigi. I mercati, dicevamo. Intesa si sta liberando di titoli italiani e nell’ultimo periodo ha alleggerito il suo portafoglio, anche se cifre esatte non si conoscono. Ufficialmente la scelta non è legata alle prospettive di innalzamento dei rischi sulle obbligazioni emesse dal Tesoro, ma si tratterebbe di una decisione fondata sulla necessità di migliorare la tesorerie e diversificare gli investimenti. Al vertice di Ca’ de Sass sono consapevoli delle conseguenza delle nuove regole, anche se fanno riferimento proprio ai tempi lunghi. Come dire: non ci allarmiamo inutilmente. Voglia di evitare panico o drammatica sottovalutazione? In questa seconda ipotesi sembra rientrare l’atteggiamento di tutti i membri del Parlamento Ue, che ha votato la risoluzione. Il «Burkhard Blaz Résolution» è stato licenziato il 19 gennaio e a dire «sì» c’erano anche tanti italiani, in particolare popolari (Ppe) e socialisti (Pse). Dai resoconti di Strasburgo, tra i favorevoli figurano: Simona Bonafè, Mercedes Bresso, Nicola Caputo, Lorenzo Cesa, Alberto Cirio, Sergio Cofferati, Lara Comi,Silvia Costa, Andrea Cozzolino, Nicola Danti, Paolo De Castro, Elisabetta Gardini, Michele Giuffrida, Fulvio Martusciello, Barbara Matera, Alessandra Mussolini, Pier Antonio Panzeri, Aldro Patriciello, Pina Picierno, Gianni Pittella, Salvatore Domenico Pogliese, David Sassoli, Renato Soru, Flavio Zanonato, Damiano Zoffoli. Sono loro ad aver azionato il potenziale grimaldello anti-Italia e anti-Renzi. Il «no» è arrivato solo dai 5 Stelle (tra i quali Marco Zullo e Marco Zanni), dalla Lega (Mario Borghezio e Buonanno), dal fronte della sinistra estrema (Barbara Spinelli e Fabio De Masi). Di là dai voti, il punto è che a Bruxelles hanno deciso di cambiare nettamente il quadro regolatorio: e siccome gli Stati in teoria possono fallire, allora i creditori devono adeguarsi. Una posizione un po’ singolare, ha fatto notare su Mf Angelo De Mattia, ex alto dirigente della Banca d’Italia: «Mentre la Bce con il quantitative easing acquista titoli pubblici, con un’altra mano le autorità comunitarie li svaluterebbero». Già: cosa ne pensa il presidente dell’Eurotower, Mario Draghi, di un’iniziativa che pare in grado di bruciare le carte messe sul tavolo dalla Bce?