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 2016  febbraio 06 Sabato calendario

Cassa depositi e prestiti rischia di diventare la nuova Iri

Qualcuno ci deve spiegare per quale motivo la Cassa depositi e prestiti ha dovuto bruciare quasi mezzo miliardo di euro nella Saipem. Converrebbe chiederlo al nuovo presidente Claudio Costamagna, che di numeri si intende, o agli azionisti pubblici, ad esempio il ministro Padoan. Il rischio è che è la Cassa diventi il Mr Wolf del governo, il killer delle situazioni delicate. Possiamo, ovviamente, toppare di grosso.
Ma seguite il nostro ragionamento. Saipem è una società incasinatissima. A parte le questioni giudiziarie, affari nei quali non vogliamo entrare, essa paga il prezzo del petrolio basso, bassissimo. Ha costruito gioiellini anche lunghi trecento metri, in grado di perforare e trovare petrolio negli anfratti più pericolosi del mare. Quando un barile valeva 100 dollari, poco importava investirne 50/60 nella sua estrazione. Oggi con le quotazioni intorno ai 20/30 in pochi osano prenotarsi una nave Saipem.
Insomma avete capito la situazione. Il gruppo ha tecnologie favolose, investimenti consistenti, ma non ha più il mercato. Il problema è che tutto ciò si sposa con un debito da sei miliardi di euro, che in mancanza di ricavi e margini diventa un fardello insopportabile. Per la cronaca, il 43% del capitale della società, era dell’Eni. A sua volta il Cane a sei zampe, guidato oggi da Claudio Descalzi, ha un debituccio da 11 miliardi, con spalle decisamente più grosse. Ma anche un problema contabile, che un giorno sì e l’altro pure le agenzie di rating gli fanno notare: e cioè che al debito Eni si doveva sommare anche quello di Saipem, poiché di fatto si tratta di una controllata. Il che voleva dire un bilancio consolidato Eni con debiti per 17 miliardi. Non troppo in assoluto. Ma in un anno come il 2016, in cui Descalzi sarà in grado di fare utili in una forchetta che va da 0 a 1 miliardo massimo, tocca essere puliti dal rosso, per fare magari maggiore debito proprio per pagare il dividendo che il mercato si aspetta (intono agli 80 centesimi). La soluzione viene trovata ad ottobre del 2015. La Cdp si compra una fetta della quota Eni, di modo che il gruppo petrolifero, possa deconsolidare Saipem dal suo bilancio e dunque pulirsi da 6 miliardi di debiti. La Cdp si impegna pure a sottoscrivere il gigantesco aumento di capitale di cui comunque Saipem avrà bisogno e che è pari a 3,5 miliardi. L’investimento per Costamagna è di circa 900 milioni: 463 per comprare dall’Eni il 12,5 delle azioni Saipem, più 437 milioni che rappresentano la sua parte di sottoscrizione di aumento di capitale. All’Eni questa operazione costa invece circa 600 milioni: poco più di un miliardo è la sua quota di aumento di capitale, a cui però vanno sottratti i 463 milioni incassati dalla vendita a Cdp. Descalzi insomma con 600 milioni si toglie un fardello di 6 miliardi di debito. Ottimo. Arriviamo all’ultima riga e cioè alle quotazioni di ieri. Costamagna, se lunedì il titolo Saipem dovesse tenere, avrebbe bruciato la bellezza di 430 milioni. Pari ai 900 investiti a cui sottrarre il valore di Borsa delle sue 1,2 miliardi di nuove azioni Saipem, che difficilmente sarà superiore ai 470 milioni di valorizzazione implicita di ieri.
Ci sono tante domande che si possono fare a questo punto. Ma una sola val la pena di porre: chi glielo ha fatto fare alla Cdp di prendersi questo pacco? Dubitiamo fortemente che se i quattrini di Cdp fossero quelli di un privato, sarebbero finiti in questo girone infernale. Come abbiamo detto in premessa ci possiamo sbagliare. Qualcuno ci risponda. In fondo sono soldi pubblici.