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 2016  febbraio 06 Sabato calendario

Il mondo finanziario è così globalizzato e interconnesso che non si può pensare che la pioggia in Cina o in Brasile non vada a bagnare anche gli Stati Uniti o l’Europa. Ecco perché la divergenza tra Bce e Fed è molto difficile

Tra le tante incertezze con cui a dicembre si guardava il 2016 dei mercati finanziari, svettavano due sole grandi certezze. Uno: la divergenza tra le politiche monetarie di Stati Uniti e resto del mondo. Due: la possibilità che le sottovalutate Borse europee tornassero a correre.
Gli investitori e gli economisti erano così convinti di queste due “verità”, che in massa scommettevano sul rialzo del dollaro e sulla crescita dei listini europei. Peccato che queste due certezze si siano tramutate in incertezze con una velocità impressionante: le Borse europee da inizio anno hanno perso più di Wall Street e la divergenza tra le politiche monetarie è stata messa già in discussione. Questo dimostra per l’ennesima volta che il mondo finanziario (e anche quello economico) è così globalizzato e interconnesso, che non si può pensare che la pioggia in Cina o in Brasile non vada a bagnare anche gli Stati Uniti o l’Europa. La divaricazione tra le banche centrali è quindi molto difficile. L’obiettivo dovrebbe anzi essere quello opposto: servirebbe una convergenza e un maggiore coordinamento globale delle politiche monetarie e fiscali.
Il caso della «stretta» della Federal Reserve è emblematico. A fine 2016 il mercato pensava che la Banca centrale americana potesse aumentare i tassi d’interesse americani fino a quattro volte nel 2016. E la stessa Fed prevedeva lo stesso. Del resto l’economia Usa correva, la disoccupazione scendeva, la pur bassa inflazione saliva: non c’era dunque più alcun motivo per cui in America proseguisse la politica dei tassi a zero. Per questo a dicembre la Fed ha alzato il costo del denaro per la prima volta dal 2006 e – prevedevano tutti – nel 2016 avrebbe proseguito nella graduale ma perentoria normalizzazione. Situazione simile in Gran Bretagna, dove ci si aspettava un rialzo dei tassi. Opposto lo scenario in Europa e in Giappone, dove tutti sapevano che la Bce e la Bank of Japan avrebbero continuato a stimolare l’economia con misure non convenzionali. Ecco perché il mercato scommetteva sulla divergenza: perché era la naturale conseguenza di cicli economici diversi. Così tutti compravano dollari e vendevano euro, in coerenza con l’attesa divaricazione tra politiche monetarie.
Stesso discorso per le Borse europee. Tutti a dicembre vedevano che, rispetto alle altre, erano sottovalutate: il rapporto tra prezzo delle azioni e utili attesi è a 13,8. Segnale che i listini del Vecchio continente avevano (e hanno) spazio per crescere. Considerando poi che l’economia europea ha iniziato a riprendersi (seppur a fatica), che la politica monetaria della Bce è ultra-espansiva, che l’euro debole aiuta l’export e che il mini-petrolio abbassa la bolletta energetica, di motivi per puntare sulle Borse europee ce n’erano tanti a fine 2015. Ci sarebbero anche oggi, realtà. Così a fine anno non c’era grande investitore che non dicesse di scommettere sui listini del Vecchio continente.
Ma il 2016 ha cambiato tutto. Il petrolio debole è oggi percepito come un elemento di instabilità per l’economia mondiale: dunque anche per quella americana ed europea. Perché se soffrono i Paesi produttori (tra i quali ci sono anche gli Usa), soffrono tutti. Il dollaro forte è inoltre visto come un ulteriore freno per l’economia Usa, che infatti inizia a mostrare segnali di rallentamento brusco. Se poi la Bce e la Bank of Japan aumentano la portata delle loro politiche monetarie ultra-espansive, la Federal Reserve americana non può subirne le conseguenze impassibile: dunque è costretta a tornare sui suoi passi e a bloccare i rialzi dei tassi. Insomma: il mondo è così globalizzato che non esistono più isole felici. Ad ogni azione di una banca centrale, corrisponde la reazione delle altre. Ad ogni dato economico in giro per il mondo, corrispondono mutate aspettative nel resto del globo. Così le due grandi “verità” con cui gli investitori di tutto il mondo erano entrati nel 2016 sono diventate due grandi incertezze.
È anche per questo – spiega Antonio Cesarano di Mps Capital Services – che i mercati oggi sono in preda alla volatilità isterica: perché gli investitori sul dollaro e sulle Borse Ue erano così unidirezionali, che ora la loro fuga diventa quasi compulsiva. Ogni indicatore economico che mostra il rallentamento dell’economia Usa (come l’indice Ism di mercoledì) diventa il pretesto per indebolire violentemente il dollaro. Ogni indicatore che invece getta incertezza (come quello ambivalente di ieri sul mercato del lavoro Usa) diventa il pretesto per aumentare la volatilità e il panico. Così oggi, a febbraio 2016, le due certezze di un mese fa si sono infrante. Ne resta una sola in piedi: nulla è più veramente certo.