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 2016  febbraio 06 Sabato calendario

Quel feticista di Quentin Tarantino parla del rasoio di Mister Blond e di tutte le sue ossessioni

«Il rasoio di Mister Blond». Quentin Tarantino ha la concentrazione di chi sta rispondendo a un quesito fondamentale. «Qual è l’oggetto cinematografico a cui tengo di più?». Lunga pausa. «Se proprio ne posso dire uno solo…». L’affilato rasoio brandito dallo psicopatico Michael Madsen in Le iene è la scelta finale. Da feticista convinto, Tarantino prende i cimeli molto sul serio. Ora che si è tolto il peso il regista americano si rilassa, il ciuffo nero cade sbilenco sulla guancia, la pancia sbuca dalla camicia. Ossessionato dal vintage e consapevole che senza l’amore per i film del passato non sarebbe diventato il cineasta culto che è oggi. «Sono un archivista seriale. Di VHD, DVD, vinili, fumetti, poster, giochi da tavolo. Ho dovuto comprare una casa enorme per contenere le cianfrusaglie accumulate negli anni. Troppa roba, lo ammetto». Elenca: «Quarantamila VHS e cinquemila dischi, colonne sonore. Colleziono anche le scatole per cereali degli anni Sessanta e Settanta: da bambino non mangiavo altro». Divorava anche film, in quel di Knoxville, cittadina del Tennessee dove è stato cresciuto dalla madre infermiera e dal padre adottivo. «Mamma rientrava dall’ospedale solo la sera. Il mio patrigno suonava la notte nei pianobar e passava le giornate a guardare film in tv. La mia passione per il cinema è nata così».
Il western di Quentin Tarantino arrivato in sala,
The hateful eight, è modernissimo e vintage: «Sono diventato famoso con Pulp Fiction, che tutti i critici hanno considerato un’opera che ha aperto una nuova strada. Ma, al tempo stesso, per i miei film, io ho sempre guardato e attinto al passato, al cinema che avevo visto e amato. Non ho problemi con il passato o il futuro, l’avversario contro cui combatto è il cinema del presente. Una delle qualità migliori di The hateful eight, che ormai ho già visto un mucchio di volte con pubblici di tutto il mondo, è la diversità: se vai in un qualunque multiplex da dodici schermi sono certo che gli altri undici film non somigliano per niente al mio».
“Gli odiosi otto” s’ispira per struttura al film esordio di Tarantino, Le iene. Ma anche un po’ a La cosa di John Carpenter e al giallo Dieci piccoli indiani di Agatha Christie. È proiettato in molte sale nel formato in 70 millimetri – schermo gigantesco – e girato con le leggendarie lenti Panavision 70, quelle usate per la gara di bighe di Ben-Hur. «L’idea del film è partita proprio dalla voglia di usare il 70 millimetri. Primo perché le immagini sono bellissime, suggestive. E poi, francamente, anche perché me lo potevo permettere. Bastardi senza gloria e Django Unchained sono andati talmente bene che ho potuto investire in questo formato antiquato, quasi in reazione alla digitalizzazione delle riprese e a quella delle proiezioni in sala». Ma, per Tarantino, il passato è sempre il veicolo per creare qualcosa di innovativo: «Il formato Paramount è progettato per paesaggi all’aperto o scene spettacolari come quella delle bighe di Ben-Hur. Stavolta lo uso per regalare un’atmosfera intima: ho girato tanti primi piani di Samuel L. Jackson, ma non sono mai stati convincenti come in questo film.
All’inizio ci sono le meravigliose montagne innevate, poi però si gira dentro la locanda. Con questo formato tu riesci a vedere il personaggio che parla ma anche dove sono e anche tutti gli altri, renderti conto della partita a scacchi che si sta giocando».
Lo schermo su cui il regista ha iniziato a vedere i film era quello piccolo, di casa. «Il mio patrigno mi chiamava, mi faceva vedere i classici, mi raccontava chi era ciascun attore e quali altri film aveva fatto. Avevo cinque, sei anni. Allora pensavo che diventare adulti significasse dover sapere tutto di pellicole e attori. Solo dopo ho capito che non tutti gli adulti erano esperti». Se in casa si vedeva Hitchcock e film di genere «mia madre aveva altri gusti: il primo film in sala con lei è stato Ma papà ti manda sola? Quando erano insieme si andava al cinema a vedere Airport. Nel 1971 furono candidati all’Oscar cinque film: Airport, Cinque pezzi facili, Love story, Patton il generale d’acciaio, MASH. Li avevo visti tutti in sala, avevo otto anni».
L’invenzione che ha rivoluzionato la vita del giovane Quentin è stata quella del VHS. «A meno che non fossi tanto ricco da comprarti le pellicole, i vecchi film potevi vederli ai cinema d’essai oppure in tv: ma non avevi scelta e quelli che piacevano a me li davano le emittenti locali alle 4 di notte. Con le videocassette potevi registrarti i film, farti una tua collezione».
A diciannove anni Tarantino fu assunto in un videonoleggio a Manhattan Beach, Los Angeles. «Dapprima ero cliente. Mi fermavo intere serate a parlare con il proprietario, grande cinefilo. In Hateful eight ho dato il suo nome allo sceriffo morto di Red Rock. Aveva tutti i generi, i classici, le opere straniere. Impressionato dalla mia competenza mi ha dato un lavoro e mi ha salvato. Era un momentaccio, per me. Non sapevo cosa fare della mia vita. Guadagnavo poco, ma quando sei giovane non è importante. Quello è diventato il mio paradiso». Presto quel giovane allampanato è diventato il critico di riferimento della comunità. «Passavano tutti i giorni, dopo il lavoro, per discutere di cinema, chiedermi consigli su cosa vedere. Ho imparato tanto sui gusti del pubblico». Alla collezione di film di genere (possiede una copia in 35mm dell’horror Manos: The hands of fate del 1966 di Harlod P. Warren) si è aggiunta la voglia di comunicare la sua passione.
Ha sostenuto il proprietario del New Beverly di Los angeles, il cinema che frequentava da bambino. Poi ha comprato il palazzo per impedire che divenisse un supermercato e dal 2014 organizza matinée per bambini, spettacoli di mezzanotte, cartoni vintage. Tutto proiettato in 35mm. «Ancora oggi per me Netflix e lo streaming non esistono. Io registro i film in VHS».
Oltre ai film, gli oggetti dei film. «Sono follemente feticista per quel che riguarda i miei set. Ho praticamente di tutto. Ormai faccio mettere nel contratto che ogni oggetto usato durante le riprese non va noleggiato ma comprato. Mi tengo tutto, auto comprese, come la Pussy Wagon di A prova di morte. Ho la spada da samurai di Kill Bill, ho persino una diligenza. Negli ultimi tempi sto cercando di scegliere, tenere le cose che abbiano davvero un significato. Ma per capirlo ci vuole tempo. Non sono ancora in grado di capire quali oggetti resteranno di Hateful eight».
Steven Spielberg s’aggiudicò a un’asta per una folle cifra “Rosabud” (Rosabella) di Quarto potere e Orson Welles si premurò di fargli sapere che il vero slittino era stato bruciato sul set. Tarantino ride di gusto: «Io non sono altrettanto appassionato di oggetti di altri autori. L’unica cosa che posseggo di cui sono davvero orgoglioso è una pistola della Trilogia del dollaro usata dal mio maestro Sergio Leone».