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 2016  febbraio 06 Sabato calendario

L’economia americana ha creato troppi pochi posti di lavoro nell’ultimo mese. Wall Street va giù

L’economia americana ha creato 151.000 nuovi posti di lavoro a gennaio, meno che negli ultimi mesi e meno delle previsioni (190 mila), ma abbastanza per far scendere il tasso di disoccupazione ai minimi da 8 anni. Con una disoccupazione sotto la soglia simbolica del 5 per cento, al 4,9 per cento per la precisione, si è tornati “alla casella di partenza” del febbraio 2008, prima che la crisi della finanza precipitasse gli Stati Uniti e tutto l’Occidente nella recessione.
Rispetto al punto di partenza di 8 anni fa in realtà ci sono 5 milioni di posti in più perché nel frattempo la forza lavoro è aumentata con l’immigrazione e la crescita demografica. Un altro dato importante di gennaio riguarda le retribuzioni: in media le buste paga degli americani sono salite del 2,5 per cento su base annua, un miglioramento non eclatante ma che conferma comunque una moderata ripresa della dinamica salariale dopo anni di stagnazione.
Che conseguenze avranno i dati di ieri sulle mosse della Federal Reserve? Questa è la domanda che appassiona o inquieta i mercati. A metà marzo la banca centrale Usa dovrebbe decidere se proseguire il rialzo dei tassi che iniziò nel dicembre scorso. La presidente della Fed, Janet Yellen, sul finire del 2015 diede una tabella di marcia: quattro piccoli ritocchi all’insù nei tassi d’interesse durante il 2016, al ritmo di uno a trimestre. A colpi di un quarto di punto ogni volta, come a dicembre. Quello scenario, di una lenta e graduale normalizzazione del costo del denaro dopo la terapia d’emergenza del tasso zero, segnalava la fiducia della Fed che la crisi fosse davvero finita. Ma da metà dicembre in poi nuove turbolenze hanno colpito i mercati: l’ulteriore crollo del petrolio, i nuovi segnali di difficoltà della Cina, i rischi default nei junk-bond e in alcuni paesi emergenti come il Brasile. La stessa crescita americana ha subito un vistoso rallentamento nell’ultima parte del 2015. Tutto questo ha spinto i mercati a scommettere che la Fed sarà costretta a cambiare i suoi piani. Ora la previsione più diffusa è che a marzo non ci sia un aumento dei tassi. È proprio questo nuovo consenso dei mercati ad avere provocato negli ultimi giorni un indebolimento del dollaro. La moneta americana per gran parte del 2015 era stata sospinta al rialzo proprio dall’attesa di un miglioramento dei rendimenti. Se la Fed si ferma e rinvia i rialzi del costo del denaro, il dollaro a sua volta ne risente e perde quota. Brutta notizia per l’Eurozona, dove gli esportatori si erano avvantaggiati del dollaro forte.
Ma da qui a metà marzo la Fed avrà tempo per digerire nuovi dati, aggiornando continuamente la sua visione sulla forza dell’economia Usa. La banca centrale è sotto tiro, sta crescendo il coro di critiche verso la sua decisione di dicembre: da alcune parti si sostiene che quel rialzo dei tassi pur modestissimo (+0,25%) potrebbe avere contribuito a decretare “l’inizio della fine” del ciclo di crescita che dura da quasi sette anni. Le Borse Usa sono in zona Orso, e questo potrebbe indicare che vedono una recessione all’orizzonte. Può essere una di quelle profezie che si auto-avverano: un forte calo dei mercati azionari, attraverso il meccanismo chiamato effetto-ricchezza (in questo caso al negativo), può deprimere i consumi perché le famiglie che vedono assottigliarsi il valore dei propri risparmi diventano pessimiste. Qualcosa di simile forse sta succedendo. Di certo è singolare che il crollo del petrolio – che qui negli Stati Uniti si traduce in un ribasso molto consistente della benzina – non si sia trasferito automaticamente in un forte rilancio dei consumi. Di solito un calo del prezzo della benzina viene equiparato ad una riduzione delle tasse, in quanto aumenta il reddito disponibile delle famiglie. Stavolta invece i consumatori americani preferiscono usare gran parte del maggiore reddito disponibile per ridurre il proprio indebitamento e rimpolpare i risparmi. Saggio comportamento sotto tanti punti di vista, ma spesso è così che ha inizio una recessione. Di certo le probabilità di una recessione prossima ventura saranno fra i temi che la Fed discuterà di qui a metà marzo.