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 2016  febbraio 06 Sabato calendario

A Narborough Road, a Leicester, lavorano fianco a fianco negozianti di 24 Paesi diversi. È la via più multietnica d’Inghilterra

Ci sono un italiano, un polacco, un turco, un arabo e un indiano: ma non è l’inizio di una di quelle barzellette all’insegna degli stereotipi etnici. È la descrizione di un pezzetto di Narborough road, la strada più multietnica d’Inghilterra, se non d’Europa o forse del mondo: 24 nazionalità, in rappresentanza di quattro continenti, una accanto all’altra, su poco più di 200 esercizi pubblici, vetrina di negozio dopo vetrina di caffè, barbiere, salumiere, in apparente armonia nel cuore di una cittadina di provincia.
«Magari gli immigrati andassero così d’accordo nel nostro paese o da qualunque altra parte», dice Gennaro Zappia, cuoco salernitano, in mano una teglia di ravioli pronti per il forno, nel ristorante che ha appena aperto al numero 2 di questa colorita via del cosmopolitismo urbano. A individuarla sono stati i sociologi della London School of Economics, la cui ricerca è finita sui giornali. “Bottegai di tutto il mondo unitevi”, suggerisce il titolo del Mail, parafrasando involontariamente il motto di Marx: uniti per commerciare in santa pace e possibilmente in prosperità, certo, mica per fare la rivoluzione. Ma questa unità è un segno di civile progresso, nel momento in cui in Europa risuonano allarmi sulle invasioni straniere e sui presunti danni di un’immigrazione senza controlli.
A un’ora di treno dalla capitale, Leicester deve la sua fama passata a Riccardo III, l’ultimo re inglese caduto in battaglia, e quella più recente a Claudio Ranieri, l’allenatore che ha sorprendentemente portato in testa alla Premier League la squadra locale. Ora l’indagine della Lse (acronimo della prestigiosa università di scienze politiche londinese) sottolinea un altro motivo di distinzione: meno di metà della popolazione locale (300mila abitanti) si autodefinisce britannica, le due università cittadine attirano studenti da ogni angolo della terra e Narborough road, l’arteria che taglia il centro, è diventata una sorta di nazioni unite del piccolo commercio. Una volta era una strada in declino, contrassegnata da abbandono, degrado e miseria. Globalizzazione e immigrazione, i due grandi accusati dai nostalgici del tempo che fu, l’hanno rivitalizzata.
Beninteso, non è una strada ricca: modeste casette a due piani costellano le vie adiacenti (90 mila sterline per un appartamento con due camere da letto, si legge nella vetrina di un’agenzia immobiliare – prezzo con cui sotto il Big Ben non compri neanche un garage). Né vi compaiono “chain stores”, le catene di negozi tutti uguali (Starbucks, Gap, Pizza Express) che hanno reso omogenee le “high street”, le vie centrali nel resto della nazione. Ma è costellata di negozietti indipendenti che trasmettono dinamismo e speranza. Vicino a Sultan (barbeque turco) c’è Alino (bar africano), di fianco a Nawroz (cucina caraibica) c’è Al Sheikh (ristorantino arabo), dopo Karczma (delicatessen polacco) c’è Vashnu Daba (alimentari indiano). E avanti così, isolato dopo isolato: un macellaio pachistano, una tabaccaia kenyota, un droghiere lettone, una sarta dello Zimbabwe, un ristoratore giamaicano. “Antonio Sun Tanning”, salone per abbronzarsi, non cela un italiano, bensì un inglese: ebbene sì, ci sono anche i nativi, con nome nostrano per sembrare più esotici. Accanto ai supermercatini “halal”, cibo secondo i dettami del Corano, sorge il salone di bellezza Platinium, con in vetrina la gigantografia di una bionda in bikini. Sul marciapiede mi sfiorano una bionda in carne e ossa che parla russo dentro un telefonino, una massaia con il velo e le sporte della spesa, un gruppo di sikh con il turbante, uno di operai polacchi. Kerreen Nelson, giamaicana, dietro il bancone dell’omonimo Nelson Soul Food, dice che è bello vedere così tante comunità diverse in buoni rapporti.
«Ci siamo guardati intorno per cercare il posto giusto», racconta Zappia, lo chef di Sapri, provincia di Salerno, fra i tavoli di “La cucina italiana”, il ristorante che ha aperto con il socio romano Alessandro Graziani. «A Londra di ristoranti italiani ce ne sono tanti, qui c’erano soltanto imitazioni e abbiamo pensato ci fosse spazio per uno genuino». Era l’unica cosa di cui Ranieri si è lamentato arrivando ad allenare il Leicester: l’assenza di un posto dove cenare come in Italia. Adesso può portare la squadra su Narborough road e mangiare tagliolini all’astice o ravioli ai funghi come in patria. Il mondo in una strada. Non è una barzelletta.