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 2016  febbraio 06 Sabato calendario

Il caso dell’ultimo articolo di Regeni pubblicato dal Manifesto dopo il no della famiglia

Giulio Regeni non è mai entrato in queste stanze. Ci arrivava con le sue email.
Clic.
Ha scritto quel ragazzo dall’Egitto. Propone un servizio sui nuovi movimenti operai. Sul sindacalismo indipendente che si batte contro il governo di Al-Sisi. Chiede di poter firmare con uno pseudonimo, è prudente, fa bene.
Clic.
La redazione de il manifesto è in un condominio del quartiere Portuense. Un corridoio lungo con le luci al neon, armadi pieni di faldoni, la macchinetta del caffè davanti alla segreteria.
Simone Pieranni è il redattore del servizio Esteri che apriva e leggeva le email di Giulio.
«Il primo contatto, nel luglio scorso: si presenta, ci spiega chi è, dice che fa ricerca, è uno studioso, dice che gli piacerebbe scrivere sul nostro giornale».
Quanti articoli gli avete pubblicato?
«Tre, compreso quello che abbiamo messo in prima pagina dopo la sua morte. Il primo era scritto a quattro mani, con doppia firma: il suo pseudonimo e il nome e il cognome di un’altra persona. La richiesta di firmare con lo pseudonimo, conoscendo la violenza del regime egiziano, ci è sembrata del tutto comprensibile».
La madre di Giulio sostiene che suo figlio avrebbe voluto collaborare con voi: e che voi non gli avete dato questa possibilità.
«È falso. L’ultimo articolo Giulio lo ha spedito ai primi di gennaio. Ma non siamo riusciti a pubblicarlo subito per ragioni di spazio, nei giornali capita. Il 9 gennaio, Giulio e l’altro che scriveva con lui a doppia firma, mi mandano una email, chiedendo, con garbo, se ci fossero dei problemi. Io gli dico di aver pazienza: l’idea è di pubblicare l’articolo in concomitanza con l’anniversario di piazza Tahrir».
E loro?
«Loro rispondono che, a malincuore, lo avrebbero allora pubblicato sul sito Nena-News, una sorta di agenzia di stampa che si occupa di Medio Oriente».
Nelle sue email, Giulio ti ha mai detto, esplicitamente, di avere paura?
«No, mai».
Ti ha dato l’impressione di voler intraprendere la professione del giornalista?
«No. La sensazione che forniva era quella di un giovane ricercatore che avesse scelto il manifesto per divulgare le cose interessanti che trovava».
Viene a sedersi anche Tommaso Di Francesco, il condirettore (colpisce l’assenza di voci, di rumori: una redazione, anche quando è al lavoro, provoca sempre un trambusto di sottofondo che qui, però, non c’è).
Forse è la stanchezza per un certo tipo di dolore che, periodicamente, vi colpisce.
«Abbiamo vissuto giorni di morte, sì. Nicola Calipari morì la sera che fu liberata Giuliana Sgrena. Poi Vittorio Arrigoni ucciso a Gaza. Però Giuliana era una nostra inviata, era a Bagdad per raccontare la resistenza irachena. Vittorio era un nostro collaboratore. Giulio… ecco, Giulio stava diventando un nostro collaboratore».
Gli avete pubblicato l’ultimo articolo nonostante il divieto imposto dalla famiglia: sul web, e non solo, vi hanno criticato in molti.
«Ho parlato con l’avvocato della famiglia. La diffida è incomprensibile».
Spiegati.
«La diffida, arrivata alle 19.25 di giovedì, ruotava su due ragioni. La prima: non mettere a rischio la vita dei genitori di Giulio… Ma loro, scusa, non erano in ambasciata e a stretto contatto con i nostri servizi? La seconda… Vabbé, no, la seconda non te la dico».
Fammi insistere.
«Guarda, è tremenda anche solo a dirsi: i genitori non volevano che l’articolo di Giulio fosse pubblicato per non mettere a repentaglio la sua incolumità. Purtroppo, però… il suo corpo era già stato identificato».
La stanza del direttore è in fondo al corridoio.
Una stanza sobria, piccola, con un bel quadro di Luigi Pintor, uno dei padri fondatori del giornale (fino a qualche tempo fa, in corridoio, incontravi ancora Valentino Parlato, sempre con il suo sorriso, con la sua capacità di vedere le cose da un’angolazione diversa e speciale).
Lei, Norma Rangeri, è al computer: sta scrivendo il suo editoriale.
Sembri amareggiata.
«Sì, lo sono, e molto: anche se ormai dovrei aver capito come va il mondo dell’informazione in questo Paese e come sia veloce e sempre più terrificante il frullatore delle strumentalizzazioni… No, dico: sono arrivati a scrivere che quel ragazzo era arruolato dai servizi segreti…».
Continua.
«Invece era solo un ricercatore che raccontava ciò che scopriva alzando il velo su alcuni aspetti del governo di Al- Sisi, le cui atrocità vengono ignorate dalla comunità internazionale… Purtroppo, sai come finirà? Il regime fingerà di aver individuato i responsabili dell’uccisione e così tranquillizzerà tutti quelli che vogliono poter continuare i loro affari economici con l’Egitto…».
E poi la coincidenza.
Venti minuti dopo.
Le agenzie di stampa battono la notizia: due persone arrestate al Cairo, sono sospettate di aver avuto un ruolo nell’uccisione di Giulio Regeni.