Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 05 Venerdì calendario

Cent’anni di dadaismo

■ Se fosse nato in Italia probabilmente il movimento avanguardistico Dada si sarebbe chiamato Dilà. Almeno stando a un aneddoto raccontato dal dadaista Tristan Tzara: «All’ora di pranzo gustavo una minestra in una trattoria di Zurigo, quando all’improvviso irruppe nel locale un pericoloso ricercato che poi scappa per l’ingresso posteriore. Poco dopo entrano i poliziotti che lo inseguivano. Io avrei voluto dire loro da che parte era scappato, ma con la bocca piena di cibo riuscii solo a farfugliare “Di là, di là”». Che in tedesco si dice Da-da, dada. L’espressione colpì Tzara chela trovò perfetta per il gruppo di cui faceva parte e che ancora non aveva un nome. Dada non aveva senso e allo stesso tempo ne aveva tanti. Nella sua lingua madre, il rumeno, significava «sìsì». In francese dada indica il cavalluccio di legno. In tedesco indica l’ingenuità eccessiva. Intanto, anche senza un nome, il gruppo era attivo già da qualche tempo. Cento anni fa, il 5 febbraio del 1916, un sabato, in quella che ieri come oggi resta l’unica vera città svizzera, aprì un nuovo locale chiamato Künstlerkneipe Voltaire. La pubblicità diceva che sarebbe stato aperto tutte le sere, tranne il venerdì. Universitari, nottambuli, dandy arrivarono a frotte credendo di trovarvi la solita offerta di canzoni divertenti e donnine che mostravano le gambe. Li attendeva invece una serata a base di tamburi fracassoni, una orchestra di balalaike, balletti sfrenati spacciati per Danze dell’Africa Nera. A un italiano verrebbe in mente il futurismo nato qualche anno prima e infatti alle pareti di quello che poi sarà chiamato Cabaret Voltaire sono appesi bozzetti creati da artisti futuristi. Il pubblico, insoddisfatto, non sapeva di assistere alla nascita di un movimento artistico tanto breve quanto fondamentale per l’arte del Novecento: il dadaismo. Quella sera si posero infatti le fondamenta per il surrealismo, l’espressionismo e persino per la pop art che arriverà cinquant’anni dopo. I dadaisti resero ufficiale la follia che poi fu alla base dell’immaginario surrealista e testimoniarono gli effetti della società moderna sull’individuo che fluirà nella riproduzione di prodotti commerciali, fumetti, prime pagine di giornali, immagini televisive tipiche di Warhol, Lichtenstein, Schifano. Quei collage di figure e parole ritagliate in differenti caratteri tipografici che tornano in tante opere dadaiste sono un modo per esprimere il bombardamento mediatico che l’individuo subiva già cent’ anni fa da parte di troppe testate, riviste, quotidiani che rendevano sempre più immediata la comunicazione, che diversificavano le opinioni. Si può arrivare a dire che senza i dadaisti non avremmo avuto i lavori in cui il coreano Nam June Paik accatasta decine di televisori accesi. Einstein e il kaiser Guglielmo II, cuscinetti a sfera e pneumatici, enormi palazzi falansteri e ingranaggi, tutti perfettamente ritagliati emessi a comporre un collage creato da quella che è considerata l’artista più importante del dadaismo, Hannah Höch, purtroppo oscurata dalla figura di Tzara. Questo piccolo affresco di carta è l’opera-chiave del dadaismo, dal titolo fantasioso e lunghissimo (all’incirca: Ritagli fatti con un coltello da cucina dada attraversando la recente epoca weimariana della pancia da birra tedesca). Sembra un gioco, come ogni espressione dadaista, ma quanta influenza avranno sul Novecento quei giochi, quei collage, quei titoli lunghi. Si parte da La mariée mise à nu par ses célibataires, même di Marcel Duchamp (suola Fontana-orinatoio), che apparteneva al dada parigino, si passa da Andrè Breton, per arrivare al nostro cantautore Ivan Cattaneo, per sua stessa ammissione ultimo dei dadaisti, che nel 1980 pubblicò un LP decorato da collage e intitolato Urlo di una spia in agguato avant la guerre troisième. La guerra, appunto. Nel 1916 è in pieno svolgimento la Prima guerra mondiale, i dada non se ne curano. Vivono in Svizzera, Paese neutro in cui stanno trovando rifugio russi, francesi, tedeschi, rumeni. Il dada zurighese non si occupa di politica, mira alla negazione totale e gode di questa miscela di artisti di ogni Paese. L’internazionalità sarà fondamentale per il dadaismo che viene esportato ovunque. Il suo stile sarà declinato in modi diversi in luoghi diversi. A Berlino, la politica sarà l’oggetto di artisti come Grosz. A Parigi si punterà sul gioco folle. A Zurigo invece la scintilla si spegnerà presto, nel luglio dello stesso 1916, quando il Cabaret Voltaire chiuderà. Ma aveva appiccato un  incendio che avrebbe mutato la cultura europea.