Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 04 Giovedì calendario

Renzi sta creando un ministero dell’Economia parallelo. E Padoan non sa come fermarlo

Palazzo Chigi, Palazzo Koch e Palazzo Sella sono sempre più lontani. Il triangolo magico che gestisce l’economia italiana, nella gioia (raramente) e nel dolore (sempre più spesso) si è spezzato; è rimasto un vertice sottile, circondato da due aureole di consiglieri eccellenti, quasi un governo parallelo che rischia di mettere in un angolo il Mef (ministero dell’Economia e finanze) e la stessa Banca d’Italia. Il governatore Ignazio Visco, sommerso di critiche da parte di Matteo Renzi e del ministro per le Riforme costituzionali Maria Elena Boschi, si è dovuto difendere pubblicamente e alla fine ha deciso di passare alla controffensiva. Sabato 30 gennaio, parlando all’annuale riunione del Forex, ha chiesto «una revisione del bail-in», il meccanismo che scatta in caso di crac bancario e scarica il costo su azionisti e obbligazionisti. Una vera e propria bottiglia molotov, lanciata contro la commissione europea che ha sorpreso anche la Bce, tanto che Mario Draghi, parlando davanti al Parlamento europeo, ha ammonito che «bisogna attuare in modo coerente le regole».
Si è aperto, dunque, un contenzioso che mette in campo direttamente il governo e fa saltare la mosca al naso persino a Pier Carlo Padoan finora paziente come Giobbe. Perché Visco denuncia, Renzi lancia saette e poi tocca a lui rimboccarsi le maniche, smussare, ricucire, discutere fino allo sfinimento a Bruxelles e a Francoforte, proprio come è accaduto con la bad bank. Un’idea nata alla Banca d’Italia che Padoan ha gestito contro tutti, comprese alcune grandi banche italiane.
Nell’Unione europea il ministro non ha trovato uno straccio di alleato. È già successo nel 2013 quando l’allora ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni doveva trattare il bail-in e aveva proposto un periodo transitorio per l’Italia, succede di nuovo con il salvataggio delle banche oberate dalle sofferenze, racconta un testimone oculare. La Ue non vuole aiuti di Stato, le garanzie pubbliche così sono state ridotte al minimo e per ridimensionare il peso dei crediti a rischio o non rimborsabili, si ricorre ai derivati, gli untori della grande pestilenza finanziaria nel 2007-2008.
Il clima, dunque, è parecchio avvelenato: lo ammettono anche gli osservatori più benevoli. E mancano poche settimane all’esame di riparazione, quando la Commissione europea dovrà valutare la Legge di stabilità. Dall’incontro con Angela Merkel, venerdì 29 gennaio, non è uscito nulla di nuovo. Della flessibilità la Cancelliera s’è lavata le mani, scaricando tutto su Jean-Claude Juncker, mentre ha avvertito chiaramente Renzi a proposito del debito pubblico: è questo il macigno che pesa sull’Italia ed è la bomba a orologeria che può far saltare l’euro, anzi l’intera Unione europea. Lo dice a ogni pie’ sospinto la Bundesbank, lo recita come un mantra il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble e lo ha ripetuto più volte la Merkel durante la conferenza stampa, costringendo Renzi a promettere che verrà ridotto. Quando e di quanto lui non lo sa. Tocca a Padoan fare i conti. E il ministro dovrà sbrigarsi se non vuole rischiare che scatti la procedura d’infrazione.
Gli ultimi dati ufficiali della Banca d’Italia si riferiscono ai primi undici mesi del 2015: in assoluto il debito pubblico è arrivato alla bella quota di 2.211 miliardi di euro e continua ad aumentare soprattutto per colpa dell’amministrazione centrale e non degli enti locali, come si dice spesso. La flessibilità sul deficit può dare un aiutino, ma è difficile credere che qualche decimale di disavanzo in più imprima al prodotto lordo una spinta tale da far scendere in modo significativo quella percentuale perversa tra debito e Pil.
Il compito di Padoan è tanto più difficile in quanto il ministro, già pressato da tutte le parti, rischia adesso di essere scavalcato dalla tecnostruttura creata a palazzo Chigi. Tommaso Nannicini, neo sottosegretario alla presidenza del Consiglio, è un economista brillante, toscano (anche se fino a ieri insegnava alla Bocconi) e renziano della prim’ora (ha anche tenuto una relazione alla Leopolda). La schiera di esperti della quale si sta circondando è composta da quarantenni con una certa carriera alle spalle. Soprattutto coprono ogni ramo della triste scienza come viene chiamata l’economia: il fisco, il lavoro, l’industria, le relazioni con l’Unione europea, persino, grazie a Marco Simoni già assistente di Carlo Calenda nominato da Renzi ambasciatore presso la Ue.
Resta poco spazio al Mef e poco anche al ministero dello Sviluppo (già dell’Industria). A Padoan toccherà far quadrare il bilancio, a Federica Guidi ricevere le delegazioni di cassintegrati. Mentre le strategie, le scelte di fondo e anche certe misure concrete e potenzialmente esplosive per i conti pubblici vengono decise altrove. Non è un segreto che il Mef è stato preso in contropiede prima con gli 80 euro poi con l’eliminazione dell’imposta sulla prima casa. Renzi paragona il suo trust di cervelli al consiglio economico che alla Casa Bianca affianca il presidente degli Stati Uniti. Nannicini come Larry Summers? A parte le evidenti differenze, va ricordato che in ogni amministrazione un Council of economic advisers troppo influente ha pestato i piedi al Tesoro e alla banca centrale, creando spesso confusione nella gestione della politica economica. Salvo poi, quando la casa brucia, rimettere tutto nelle mani dei pompieri di professione come è accaduto nel 2008: il salvataggio delle banche è stato gestito in prima persona da Henry Paulson, segretario al Tesoro, e da Ben Bernanke, presidente della Federal reserve, ai quali George W. Bush in uscita ha dato praticamente carta bianca.
Non siamo a quel punto, tuttavia in molti ormai, dentro e fuori l’Italia, vedono addensarsi nuvoloni di tempesta. L’offensiva della speculazione sulle banche italiane è un avvertimento chiaro ed eloquente. Mentre il tam tam sul debito preannuncia riti bellicosi. In quel caso, toccherà a Padoan e a Visco spegnere i fuochi, proprio come è accaduto negli Stati Uniti. Chissà se le pompe idrauliche funzioneranno ancora a tutta forza.