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 2016  febbraio 04 Giovedì calendario

Il sistema bancario dovrebbe fare chiarezza sugli effetti del bail-in e spiegare quanto sia improbabile che vengano mai toccati i depositi, anche per la parte superiore ai 100 mila euro

Basta poco per scatenare la paura quando si tratta di soldi, soprattutto se si ignorano le cifre di cui si parla. Nei giorni scorsi il sistema bancario e le istituzioni hanno provato, tardivamente, a chiarire al pubblico la differenza tra sofferenze lorde, sofferenze al netto degli accantonamenti già effettuati e livelli di potenziali perdite considerate le garanzie.
Si dirà che il tema dei crediti bancari problematici è per specialisti; ma un po’ più di comunicazione preventiva, se non la promuove il sistema bancario, chi dovrebbe farla? Sorprende ancor di più che non si faccia chiarezza sui reali effetti quantitativi della nuova normativa sul bail-in. Ne emergerebbe quanto sia improbabile che vengano mai toccati i depositi, anche per la parte superiore ai 100 mila euro. Basterebbe esaminare un bilancio bancario o i dati aggregati del sistema e si vedrebbe che, prima di toccare i c/c, dovrebbero essere bruciati talmente tanti soldi in forma di altri strumenti meno protetti, da far collassare l’intero sistema bancario e finanziario. I dieci maggiori gruppi bancari italiani hanno crediti verso la clientela per circa 1.250 miliardi di euro (circa il 60% del pil) e un totale di attivi ponderati per il rischio di circa 1 miliardo. Per finanziare tale attivo, le banche usano varie fonti. In primis i loro mezzi propri, le azioni; considerato un Core Equity di primo livello (Cet1) circa dell’11,5% in media, si arriva a quasi 120 miliardi di euro. Una cifra enorme: per bruciarla, è come se i risparmiatori/azionisti dovessero da soli pagare le tasse di cinque leggi finanziarie di quelle toste. Ma anche restando a livello della banca più piccola o debole, tra le prime 10, si dovrebbero bruciare circa 3 miliardi di azioni prima di intaccare altri strumenti meno rischiosi collocati ai risparmiatori. Ancora più eclatante la dimensione delle obbligazioni che, sempre a livello delle prime 10 banche, sommano circa 400 miliardi di euro, e 6-7 miliardi ciascuna per le più piccole. Il resto, 600-700 miliardi, sono c/c e finanziamenti da altre banche. L’opinione pubblica italiana è stata scossa per 300 milioni di euro di obbligazioni, peraltro solo subordinate, non rimborsate da banche che si sarebbero dovute mettere in liquidazione da tempo. Difficile che il sistema possa restare in piedi in ipotesi di perdite di decine o centinaia di miliardi, limitandosi alle sole azioni e obbligazioni, che riguardassero banche di dimensioni medie e grandi. Checché se ne dica, il concetto del troppo grande per fallire, è già nei numeri anche della finanza italiana. Nessun governo potrebbe permettersi le inevitabili reazioni a catena, che arriverebbero fino ai titoli di stato che rappresentano in media il 20% degli attivi bancari. È giusto che la Bce di Mario Draghi vigili e intervenga, perché gli squilibri rientrino prima degli scoppi. Ed è anche giusto che sul mercato azioni e obbligazioni di banche diverse siano prezzati in modo selettivo. Ma dire che i soldi sui c/c delle banche principali possano essere a rischio è un’ipotesi teorica. Bisognerebbe bruciare talmente tanti soldi in azioni e bond, che prima di arrivare ai conti correnti sarebbe già in atto una rivoluzione; anche con effetti internazionali, essendo improbabile che un italiano, restato senza risparmi per un crac bancario, continui a versare tasse e Iva, che pagano gli stipendi a Bruxelles, o paghi i debiti ai fornitori e investitori tedeschi.