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 2016  febbraio 04 Giovedì calendario

Quella gran testarda di Sara Errani si racconta

L’umiltà è il suo credo. Normale che sia così per chi come Sara Errani è alta 164 cm e si è forgiata alla scuola della sofferenza. Tra la romagnola di Massa Lombarda e la n.1 Serena Williams ci sono 11 cm e una dozzina di chili di muscoli di differenza. Da ragazzina sognava di diventare una tennista e si è ritrovata campionessa: 8 titoli in singolare con la finale al Roland Garros e altre due semifinali Slam a Parigi e agli US Open, 25 in doppio con il Career Grand Slam in coppia con Roberta Vinci, n.5 Wta nel 2013 (ora è 22). Oltre a titoli di Fed Cup. A fine aprile compirà 29 anni ed è la normalità, intesa come valore e non come handicap, la sua forza. Non ha mai smarrito il contatto con le radici: i passatelli preparati in casa da mamma Fulvia (“divini”, sottolinea lei stessa) e il fratello manager Davide («la mia casa viaggiante»). Sarita è come la vedi: una di noi, con le braccia scolpite dai top spin e senza la routine di un mestiere sedentario. Da lunedì scorso è a Marsiglia con Camila Giorgi, la rientrante Francesca Schiavone e la novità Martina Caregaro: l’Italia di Fed Cup sabato e domenica sfiderà la Francia.
Si descriva?
«Testarda, timida e semplice».
Quali sono i passatempi durante i momenti di relax?
«Se sono a casa vince la pigrizia e mi ritrovo spesso sul divano. Quando sono in giro per tornei ascolto musica e mi concedo un po’ di shopping».
Non le manca la quotidianità?
«Rispetto a qualche anno fa ci penso di più. Quando i viaggi, gli alberghi e gli allenamenti cominceranno a pesarmi mi porrò delle domande. Questa vita la sognavo da bambina, sono una privilegiata».
Parliamo dei sacrifici: quale le è costato di più? 
«Mi è mancata la scuola: ho frequentato fino alla prima superiore, poi da privatista. Non mi sono mai potuta permettere le vacanze estive di 2-3 mesi».
Chi è stato il primo a credere in lei?
«Mio padre Giorgio. Mi portava ai tornei, mi sosteneva ed è stato lui ad accompagnarmi in Florida all’Accademia di Bollettieri, dove a 14 anni piangevo ogni sera al telefono con i miei. Un’esperienza splendida, ma dura. Sette mesi lontana da casa».
La consiglierebbe a una ragazzina che comincia?
«Dipende dal carattere. Io ero già molto matura e responsabile, sapevo che i miei genitori stavano investendo tanti soldi e non volevo dare loro una delusione. Lì ho imparato a soffrire».
Le è servito?
«Al ritorno cominciai a credere di poter diventare una professionista. È stato fondamentale fare le scelte giuste, come quella dell’allenatore. Molte giocatrici cambiano spesso, io invece ho lo stesso coach, Pablo Lozano, dal 2004. È un ex giocatore professionista, è giovane e siamo cresciuti insieme. Anche se vive a Valencia ho fatto armi e bagagli e mi sono trasferita».
Ultimamente si è parlato di scommesse e match truccati nel tennis. Rimedi?
«Per come intendo lo sport e la vita credo che la radiazione sia l’unica soluzione per chi infrange le regole. Che siano scommesse o doping».
Obiettivi per il 2016?
«L’importante è dare il massimo. A fine anno tirerò le somme, non mi piace pormi obiettivi. Restare al vertice non è semplice, i risultati dipendono anche dalle avversarie e nel circuito Wta ci sono tante ragazze giovani che giocano bene, il livello si è alzato. Penso alla Muguruza, alla Bencic, alla Pliskova, alla Keys, alle stesse francesi Madlenovic e Garcia che sono qui a Marsiglia».
Questo è l’anno olimpico. Troppo presto parlare di Rio?
«È un bellissimo sogno, ma mancano ancora molti mesi. Peccato non si giochi sulla terra. Pensavo che in Brasile fosse scontata come superficie, invece hanno scelto il cemento. Ormai i campi in rosso stanno scomparendo».