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 2016  febbraio 04 Giovedì calendario

La crisi interminabile di Yahoo. Non bastano i tagli, il titolo crolla in Borsa

Yahoo fu una delle regine nella prima rivoluzione di Internet, la New Economy versione fine millennio. Ora si avvita in una crisi interminabile, le cui convulsioni durano da anni, senza che nessun piano di rilancio abbia interrotto questo declino. La Borsa sembra aver perso ogni speranza e ieri ha sancito con un ribasso del 5% perfino l’ultimo piano di licenziamenti (di solito Wall Street celebra i tagli di organico), pur sostanzioso. Si tratta di un altro 15% della forza lavoro che verrà licenziata. Fra i tagli figura la chiusura della sede italiana di Yahoo che ha una quarantina di dipendenti: ai loro rappresentanti sindacali ieri è arrivata la comunicazione di mobilità “per la cessazione di tutte le attività della società nel paese”. La sede italiana fa parte di cinque filiali estere eliminate. Il bilancio occupazionale più pesante è comunque concentrato in America dove si trova la maggior parte dei 1.600 licenziati.
L’annuncio dell’ennesimo piano di “ristrutturazione e ricerca di alternative strategiche” è arrivato al termine di un altro trimestre negativo: dal primo ottobre al 31 dicembre 2015 Yahoo ha dovuto accantonare in bilancio 4,5 miliardi di perdite dovute alla sola svalutazione della controllata Tumblr. È uno dei vari tentativi di diversificazione finiti male: Tumblr è un sito specializzato nel blogging. È a pezzi la reputazione di Marissa Meyer, la chief executive, che un tempo era una celebrity della Silicon Valley nonché una delle rare donne al comando di un’azienda hi-tech. Tre anni fa la Meyer promise che avrebbe rilanciato Yahoo fino ad agganciare i ritmi di crescita di Google e Facebook. Non c’è mai riuscita, e la nuova ondata di licenziamenti sancisce un grave divario di produttività e di redditività rispetto alle aziende leader del settore: il fatturato per addetto da Yahoo è di 470.000 dollari annui nel 2015 contro 1,2 milioni da Google, 1,4 milioni da Facebook, e la “stellare” performance di 2,1 milioni di fatturato pro capite in casa Apple. La Meyer ha sconcertato la Silicon Valley quando organizzò una festa di Natale faraonica per i dipendenti, spendendo più di 2 milioni di dollari. Nella storia di Yahoo l’unica mossa veramente azzeccata è stata l’alleanza con il colosso cinese del commercio online Alibaba, fondato e guidato da Jack Ma. Quell’alleanza non ha generato vere sinergie strategiche ma per il solo effetto dell’apprezzamento delle azioni cinesi la quota di minoranza detenuta da Ya- hoo vale una fortuna. Oggi se Yahoo in Borsa è quotata 27 miliardi lo si deve soprattutto al valore della partecipazione in Alibaba: tolta quella, il valore rimanente sarebbe di poco superiore a 3 miliardi di dollari. E tuttavia a questo punto non resta che vendere, a pezzi o nella totalità. Gli acquirenti potenziali non mancano, attratti dal fatto che su Yahoo transitano comunque un miliardo di utenti al mese. Il Wall Street Journal ha rivelato che la sua stessa controllante – la News Corp di Rupert Murdoch – sarebbe interessata a rilevare Yahoo, o almeno alcune delle sue attività. Tra gli altri potenziali acquirenti è citato il gruppo telefonico Verizon, il conglomerato multimediale Iac (Inter Active Corp) e il fondo di private equity Tpg.