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 2016  febbraio 04 Giovedì calendario

Una dopo l’altra calano le saracinesche delle librerie romane

Una dopo l’altra calano le saracinesche delle librerie romane, sembra quasi inevitabile, sembra la fine di un’epoca che forse non tornerà più. C’è chi dice che la causa è Amazon, che la gente trova più comodo ordinare i libri su internet e vedersi recapitato a casa il suo bel pacchettino a prezzi ridotti, che il mercato ormai si è trasferito in gran parte in quegli spazi siderali e fornitissimi; c’è chi invece pensa che l’ebook stia soppiantando la carta, e che ritrovarsi nel computer una biblioteca intera sia la svolta epocale della cultura. Può darsi che le vecchie librerie soffrano di questa nuova concorrenza, ma temo che la verità sia un’altra.
Ma la verità è che i lettori sono tristemente, drasticamente diminuiti. In famiglia abbiamo avuto una libreria, per un breve periodo addirittura due: a via Fontanella Borghese, in pieno centro, e a via Siacci ai Parioli. Mia sorella era l’appassionata proprietaria di quegli spazi, pubblicava un giornaletto per consigliare le novità e anche vecchi testi dimenticati, stampava anche calendari con i versi dei poeti, passava la giornata intera a parlare con i clienti e con i rappresentanti, organizzava presentazioni, dava anima e corpo alla sua attività. Erano i primi anni Novanta e le cose ancora andavano benino, il margine di guadagno era sempre basso, intorno al 20%, e l’affitto era tremendo, ma riusciva comunque ad andare avanti. Poi le spese sono aumentate e le vendite diminuite, ma alla fine anche lei ha dovuto cedere. Un ottimista o un illuso ha rilevato le librerie, è andato avanti ancora per un poco, quindi ha alzato bandiera bianca. Erano due piccoli negozi, ma lo stesso malinconico destino lo ha sperimentato anche la prima, storica libreria Feltrinelli d’Italia, quella che stava a via del Babuino. Alle spalle aveva una forza economica diversa, eppure anch’essa a un certo punto si è arresa. Era la meta di tanti liceali e universitari, anche io ci andavo spesso, perché capitava di incontrare davanti agli scaffali Fellini o la Morante, Pagliarani o la Accardi. Era una libreria diversa, là dentro si respirava il clima di libertà e di sperimentazione dell’epoca, quel sentimento della cultura come trasformazione complessiva della vita. Quando non avevano soldi, alla Feltrinelli i ragazzi rubavano i libri: sembrava quasi giusto, era come rubare qualcosa di vitale, di cui non si poteva fare a meno. Oggi i ragazzi non accettano i libri nemmeno se glieli regali. L’altra libreria che frequentavo con assiduità stava a viale Eritrea: era moderna, felice, e ancora resiste. La gestiva un giovane di San Basilio che aveva iniziato con una bancarella a piazza Esedra. È arrivato ad avere una ventina di librerie, tutte sotto il marchio Arion. E poi la crisi ha cominciato a falcidiare quegli spazi. Il primo a soffrire, e forse non è un caso, è stato quello davanti a Montecitorio, al nostro Parlamento. Oggi il gruppo Arion traversa un momentaccio ed è una disgrazia. Roma sta perdendo una buona parte della sua anima e della sua intelligenza, a poco a poco rischia di retrocedere nell’ignoranza. Le librerie erano come lampioni nella notte, uno dopo l’altro si stanno spegnendo, e la città ora è più buia. C’è chi in libreria ha conosciuto la donna della sua vita, chi ha incontrato l’amico migliore: oggi magari li troverà in rete, ma non è la stessa cosa.