Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 04 Giovedì calendario

Le miniere sugli asteroidi, l’ultima frontiera dei cacciatori di metalli preziosi

Può sembrare un’impresa fantascientifica. E in effetti lo è. Ma i ritorni economici che promette fanno brillare gli occhi ai pionieri dello spazio che vi si sono imbarcati. Alla gigantesca missione di estrarre oro, platino e altri metalli preziosi dagli asteroidi si dedicherà da oggi anche il minuscolo Granducato del Lussemburgo. «Il nostro obiettivo – ha annunciato ieri il vicepremier e ministro dell’economia Étienne Schneider – è aprire l’accesso a risorse minerarie inesplorate sulle rocce senza vita che sfrecciano nello spazio». La dichiarazione sarebbe stata accolta con un sorriso, se nella sala conferenze non ci fossero stati i rappresentanti di due aziende americane che al progetto di una miniera nello spazio stanno dedicando la loro esistenza. La Deep Space Industries e la Planetary Resources (finanziata tra gli altri da Larry Page, cofondatore di Google) annunciarono nel 2012 la loro intenzione di estrarre minerali dagli asteroidi. Finora non sono andate molto oltre l’invio di un piccolo satellite esplorativo, ma tanto è bastato per raggranellare fondi dalla Nasa e da investitori privati.
Per rendere meno irrealistica la sua ambizione, il Lussemburgo ha anche arruolato come consulente scientifico Jean-Jacques Dordain, fino a sei mesi fa direttore generale dell’Agenzia spaziale europea (Esa). «Sono convinto che ci sia un grande potenziale economico e scientifico dietro a questo progetto», ha dichiarato ieri al Financial Times. «Sappiamo come raggiungere gli asteroidi, come effettuare gli scavi e come riportare i campioni sulla Terra». Aprire una miniera nello spazio potrebbe costare parecchie decine di miliardi di dollari, mentre mancano stime credibili sul fronte dei ricavi. Degli asteroidi riusciamo infatti a vedere la superficie, non sappiamo quali risorse siano davvero nascoste in profondità. «Ma della possibilità di esplorare queste risorse stiamo discutendo anche noi italiani con gli Usa», ha confermato Enrico Flamini, coordinatore scientifico dell’Agenzia spaziale italiana.
La prima mossa annunciata dal Granducato non ha comunque nulla a che vedere con l’astronomia. Schneider ha promesso una legge che permetta agli investitori di ottenere (eventualmente) un guadagno dall’impresa. Un trattato internazionale del 1967 prevede infatti che nessuno possa appropriarsi delle risorse dello spazio. A novembre 2015 gli Stati Uniti hanno emanato una legge in contraddizione con questo principio, sancendo il diritto di impossessarsi di beni di valore economico raccolti al di fuori dell’orbita terrestre. E il Lussemburgo seguirà probabilmente questo esempio. Solo dopo metterà a punto i dettagli scientifici di un’impresa per la quale, comunque, a oggi non ha impegnato ancora un euro.
I dettagli scientifici effettivamente esistono, come ha affermato Dordain. Ma non sono certo privi di buchi. «Per andare nello spazio bisogna avere i piedi per terra», esordisce Marcello Coradini, che all’Esa per più di vent’anni ha guidato i programmi di esplorazione del sistema solare e oggi è associato all’Agenzia spaziale italiana. Coradini, che nel 2015 per Il Mulino ha scritto Marte, l’ultima frontiera, è uno degli autori dello Studio di fattibilità del recupero di un asteroide realizzato dal Keck Institute for Space Studies del Caltech, a Pasadena. «Raggiungere, catturare ed esplorare un asteroide è un ottimo obiettivo intermedio, in vista del grande salto verso Marte per il quale oggi non siamo ancora pronti».
Il primo passo per aprire una miniera nello spazio è raggiungere uno degli oltre 10mila asteroidi che si trovano oltre la Luna (ma molto prima di Marte), ad alcune decine di milioni di chilometri da qui. «L’ideale sarebbe un oggetto di alcune centinaia di metri di diametro – spiega Coradini – su cui far atterrare un robot simile al rover Curiosity che sta esplorando Marte. I razzi del robot o un razzo piazzato sull’asteroide verrebbero accesi per deviare l’asteroide dalla sua orbita. E questo non sarebbe particolarmente difficile per noi oggi».
Per la prima tappa servirebbero un paio d’anni. L’asteroide verrebbe poi trasportato verso la Luna con un viaggio di circa 6 anni. «I razzi del robot possono essere teleguidati dalla Terra senza problemi. I segnali radio viaggiano alla velocità della luce. Un comando diretto alla Luna impiega dunque un secondo circa a raggiungere l’obiettivo. Inserire l’asteroide nell’orbita del nostro satellite non è certo un’operazione banale, ma rientra tra le operazioni fattibili».
Trasferita la “miniera d’oro” a due passi da casa («e se anche qualcosa dovesse andare storto, l’asteroide cadrebbe sulla Luna», precisa Coradini), potrà essere avviata la fase di “spolpamento”. Un gruppo di astronauti raggiungerebbe l’orbita lunare a bordo di una capsula Orion lanciata da un razzo. La capsula – non troppo diversa, come fisionomia, da Apollo – è ancora in sviluppo e prima di passare all’azione dovrà imparare a manovrare con la massima precisione per avvicinarsi all’asteroide e atterrarvi senza l’aiuto della gravità. «Gli astronauti a quel punto dovranno uscire dalla capsula e iniziare a scavare, senza alcun cavo di sicurezza».
L’operazione non è priva di insidie: dare un colpo di piccone, in quasi assenza di gravità, vuol dire infatti ricevere un contraccolpo capace di far perdere al minatore spaziale aderenza col suolo. E quindi di lanciarlo nel vuoto. «Un rimedio possibile – spiega Coradini – è dotare gli astronauti di un motore che li sospinga verso il basso, simulando la forza di gravità». Il modulo Philae, che alla fine del 2014 atterrò sulla cometa 67P nell’ambito della missione europea Rosetta, aveva scelto proprio questa soluzione.
Ma il suo razzo non riuscì a impedire il rimbalzo e la successiva perdita di collegamento con la Terra.
Scavando e riempiendo sacchi di materiale («il lavoro dell’astronauta è pieno di mansioni umili», commenta Coradini), la missione dei minatori spaziali dovrebbe entrare nella sua fase finale. Un viaggio di due-tre giorni li riporterebbe a Terra con il prezioso carico. E quand’anche tutte le insidie dello spazio fossero state superate, subentrerebbero a questo punto quelle più terra terra dell’economia. Perché un quintale di oro e platino arrivato tutto insieme farebbe in un attimo crollare i prezzi, vanificando le aspettative degli investitori. E a questo, gli economisti, non hanno ancora trovato una soluzione.