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 2016  febbraio 04 Giovedì calendario

In fila tra quelli che aspettano di vedere la salma di Padre Pio e sperano in un miracolo

E poi c’è quel momento in cui la folla crede alla magia e a nuovi miracoli. È quando vede la teca di Padre Pio volare leggera sui pennacchi dei carabinieri, sulle sirene delle ambulanze e sul muro di polizia che occulta alla vista dei più i dodici piccoli cappuccini che la sorreggono e la conducono nella basilica. Mai visti così pochi scatti di cellulare davanti a un evento invocato e istantaneo.
È come se avessero scelto, per stavolta, di lasciarsi emozionare («Eccolo! Guardalo!») da un’impressione, sincronizzandosi su un altro tempo, in cui erano bambini o ragazze e quel corpo era vivo. Per ricordare e raccontare.
Questo è il racconto della lunga attesa che quell’attimo dissolve. È la fine di un viaggio nelle vene di un’Italia che quando dice: «È partito padre Pio!» pensa davvero che padre Pio sia partito e non perché le sue sembianze sono intatte, ma perché ne percepisce l’anima e sente che sta avvicinandosi.
C’è un cielo grigio sul cimitero del Verano a lato della chiesa. La statua di un altro Pio, dodicesimo, sta a braccia larghe senza che nessuno la sfiori, neppure con lo sguardo. I contatti telefonici annunciano che il corteo si è mosso da San Giovanni Rotondo con ritardo. Troppa gente è venuta a salutare il santo che per la prima volta lasciava casa. Portavano fiori, regali e ingenue raccomandazioni: «Torna presto!», «Abbiatene cura». Al cellulare, dall’interno del carro funebre allestito per le reliquie, padre Francesco lo racconta a padre Luciano, che aspetta a Roma, lui che a San Giovanni Rotondo è nato e che padre Pio conobbe da bambino. Nello scambiarsi informazioni mostrano orgoglio e commozione.
«C’è un mare di persone al casello di San Severo! Tutti che si lanciano per toccare il finestrino, vederlo, parlargli!».
«Ci sono striscioni ai cavalcavia dell’autostrada, fino a Pescara!». «Ci salutano con i clacson dalle aree di servizio!».
Nella mente si forma il paragone con il viaggio delle spoglie di Robert Kennedy dopo l’omicidio, quel treno che attraversava l’America e due ali di folla accanto ai binari, il capo chino, il cappello in mano, una rosa da lanciare verso il vagone che passava lento. Quello era un tragitto laico, andavano a seppellire un uomo e il sogno che aveva rappresentato. Questo è religioso, fideistico: non lo seppelliranno mai, né lui né quel che rappresenta.
Inevitabilmente, la corsa si fa a ostacoli, il traguardo si sposta. La piazza davanti alla basilica si riempie: anziani con le badanti, signore con i cani, non vedenti con gli accompagnatori, preti stranieri, mendicanti astuti (chi può non essere caritatevole, qui?). S’improvvisano i ciceroni: «Vedete, sulla colonna, quello è San Lorenzo, che fu bruciato vivo e infatti ancora tiene la graticola, come tutti noi che ci stiamo sopra».
Si lucidano i ricordi: «Io l’ho conosciuto, padre Pio, gli ho pure fatto una bella foto».
E poi?
«Me la sono venduta».
Compaiono gli sgabelli, le stampelle, i microfoni sbocciano davanti a chiunque abbia un saio o un’infermità evidente. Ma nessuno è qui per chiedere, è un puro atto di presenza. O meglio: un atto di presenza puro. Cominciano a circolare voci incontrollate sul ritardo del corteo: un’ora, due, forse quattro.
«Facevamo prima ad andare noi da lui».
Si formano due assembramenti: uno di fronte alla basilica, per assistere all’arrivo, un altro sul retro, per mettersi in coda e venerare le reliquie. Sono due mondi, quasi due fedi: quelli che inseguono l’apparizione e il suo potere rivelatorio e quelli che programmano il sacrificio e la ricompensa, perfino senza sapere se ne saranno all’altezza. Il primo malore avviene alle due e quaranta. Il secondo sarà due ore e dieci minuti più tardi. Una numerosa famiglia austriaca manda l’uomo di casa a chiedere informazioni e le accoglie spazientita, attribuendo il ritardo alla classica disorganizzazione italiana.
Ecco una sirena, delle moto, un’ambulanza. Si diffonde un fremito, suffragato da precoci conferme che generano l’illusione. Chi si era inginocchiato sull’asfalto viene invitato a rialzarsi. Sulla lettiga c’è un santo, sì, ma Leopoldo Mandic. In questa corsa, è il gregario. Anche se è arrivato primo.
L’altro, il campione, è alle porte di Roma. E si temono blocchi. Ma padre Luciano da San Giovanni Rotondo conosce la città: «Occorrerà il passaparola per coinvolgerla, crescerà di giorno in giorno, verranno perché gli altri sono venuti». Come accadde per la salma di Karol Wojtyla in San Pietro. Alla fine vennero tutti quelli che potevano e nel ricordo la soddisfazione per averlo fatto è misurata in ore di attesa.
«Io allora ne feci dodici – dice un ragazzo siciliano a “Caty Amore” che lo ascolta al cellulare –. Oggi ne ho stanziate sei».
 Il suo vicino racconta che suo cugino ha messo il ghiaccio sotto i cuscini a Padre Pio prima che partisse e ne va fiero.
L’annuncio viene da un carabiniere e volta tutte le teste di scatto: «Sta arrivando!». Il corteo è sulla Tiburtina, gli incroci sono bloccati per farlo passare, i clacson tacciono all’improvviso, chi era in auto ne scende e osserva. Il carro grigio ha i vetri oscurati, ma sanno che è lì. E allora parte l’applauso, liberatorio e anche felice: «È arrivato padre Pio!». Già adesso, prima di vederlo, di constatare che ha ancora l’apparenza di un essere vivente, già adesso lo invocano per quello che, se non è, rappresenta: un’idea, una speranza che non sono mai morte, che forse non avevano nemmeno bisogno di essere preservate nella forma per sopravvivere. O forse sì, ma questo è il mistero racchiuso nel cuore di chi crede.