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 2016  febbraio 04 Giovedì calendario

E ora, sotto col New Hampshire

Il voto dell’Iowa ha costretto Donald Trump a scendere dal piedistallo che si era costruito con i sondaggi. Il miliardario newyorkese è rimasto qualche ora silente, probabilmente spiazzato da quel 24% che lo colloca al secondo posto dopo Ted Cruz (27%) e davanti a Marco Rubio (23%). Poi ha ripreso la sua attività eruttiva, via Twitter. Ha accusato Cruz di aver «rubato» la vittoria in Iowa. Subito dopo ha chiesto di ripetere le elezioni o di annullare il risultato ottenuto dal senatore texano. Trump sostiene che lo staff del suo avversario avrebbe diffuso la voce dell’imminente ritiro dalla competizione del neuro chirurgo Ben Carson. Notizia falsa, propalata ad arte e a urne aperte per dirottare i consensi verso Cruz, sostiene il miliardario ferito nell’orgoglio. Cruz si è scusato, scaricando le responsabilità sui suoi collaboratori.
Ma al di là di come andrà a finire questo caso, la sortita di Trump segnala quanto sia cambiato lo schema rispetto a una sola settimana fa. La corsa virtuale dell’outsider numero uno ora non sembra più così irresistibile. Dal «Trump contro tutti», siamo rapidamente passati al «tutti contro Trump». Cruz e soprattutto Rubio sono ora nelle condizioni di passare all’offensiva, in vista del prossimo turno, le primarie del New Hampshire, martedì 9 febbraio. Il vincitore dell’Iowa vuole sottrarre un altro pezzo dei consensi iper conservatori a Trump. La performance del tycoon nell’Iowa appare disastrosa se si confronta con i sondaggi della vigilia: era dato al 32%, ha preso il 24%. Ma i numeri assoluti raccontano anche un’altra storia. Il miliardario newyorkese ha pur sempre raccolto 45 mila preferenze in un ambiente plasmato dal rigore etico e dal fervore religioso degli evangelici. Trump ha provato a improvvisare, chiamando in soccorso la super conservatrice Sarah Palin e qualcosa ha ottenuto. Ora Cruz sta lavorando per prendere il controllo di tutta la destra integralista del Paese.
Rubio, invece, manovra su uno scenario più ampio, come si capisce dall’intervista ecumenica rilasciata alla tv Abc: «Penso che gli elettori repubblicani abbiano compreso che noi non possiamo perdere queste elezioni. Io voglio dare al partito la migliore possibilità non solo di unificare il movimento conservatore, ma di farlo crescere». Rubio tiene i piedi nel New Hampshire e la testa a Washington. Gira per comizi, ma non perde di vista le discussioni in corso nel gruppo dirigente del partito repubblicano.
Ieri, per esempio, lo speaker della Camera dei Rappresentanti, Paul Ryan, in una conferenza stampa nella capitale, ha citato William Wallace di Braveheart: «Dobbiamo unire i clan». Il partito ha bisogno di avere un candidato al tempo stesso «realista» e «visionario». È chiaro che questo non è l’identikit di Donald Trump. Rubio, invece, è sicuro di essere l’unico del gruppo ad avere queste due caratteristiche. Ma per convincere Washington dovrà contenere il ritorno degli altri tre contendenti moderati: il governatore del New Jersey, Chris Christie, il governatore dell’Ohio John Kasich e l’ex governatore della Florida, Jeb Bush. Le primarie del New Hampshire saranno una specie di girone a eliminazione diretta che potrebbe finire con l’investitura di Rubio nel ruolo ufficiale di anti-Trump. A quel punto i grandi finanziatori repubblicani, fin qui rimasti a guardare, potrebbero muoversi in anticipo. Così almeno hanno fatto capire i fratelli Charles e David Koch, nella riunione con altri «big donors», tenuta nei giorni scorsi a Palm Springs in California. Se sarà necessario sono pronti 400 milioni di dollari per far deragliare Donald Trump.