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 2015  dicembre 29 Martedì calendario

L’anno più importante per Tiziano Ferro. È lui è il simbolo del 2015 della musica italiana

Per Tiziano Ferro il 2015 è stato un anno importante, «il più importante, in generale – conferma – perché sono arrivati i frutti di tutta una carriera. È stato l’anno in cui ho capito che se ti metti a disposizione dei miglioramenti, questi poi arrivano». I numeri sono notevoli: quasi 350 mila copie del suo album antologico «Tzn», 500 mila spettatori tra concerti estivi negli stadi e autunnali nei palasport. E domani l’approdo alla prima serata di Rai 1 con uno speciale registrato in estate. 
Ma non è per questo che Tiziano Ferro è il simbolo del 2015 della musica italiana. Lo è perché tra tutti i nostri artisti, lui è quello che più è cambiato: «Mi apro di più, mi concedo di più, con rilassatezza, con meno protezione. L’esperienza dei concerti negli stadi è stata didattica, mi ha costretto a tornare alla prima elementare. In Italia ciascuno coltiva il suo orticello, anche se piccolo, è difficile cambiare status. Io quest’anno l’ho fatto, e la slavina professionale che ne è seguita mi ha spiazzato».
Concluso il tour, trascorso un tradizionalissimo Natale in famiglia, Ferro si racconta così: «Non ho mai visto tante cose giuste arrivare in un anno, non cose belle da lotteria, ma come conseguenza di una serie di sforzi. Per una volta mi piace tutto quello che ho, le persone con cui lavoro, la casa discografica che ho scelto: vorrei uno spray per fissare questo quadro fatto con i gessetti».

Stadio, non ti lascio
«Fare un tour vero negli stadi significa assumersi la responsabilità di chiedere ogni volta a tante persone di fidarsi di te. Quando vedi che tutto ciò che avviene, la soddisfazione è immensa: una volta salito sul palco, non mi sono mai sentito fuori posto, neppure un minuto. E ora agli stadi ci ho preso gusto».
Cosa si prova sul palco
«Può sembrare strano, visto il mestiere che faccio, ma io sono un ascoltatore, vivo in maniera intensa l’empatia delle persone. Mi piace percepire, sento le presenze, anche le differenze, sento l’intensità. Figuratevi in uno stadio! Salire su un palco in uno stadio è come affacciarsi per la prima volta alle cascate del Niagara. È un’esperienza tosta sentire la presenza di persone pensanti, parlanti, amanti, cantanti che hanno scelto quel giorno di essere lì per te».
Il prossimo album
«In questi due anni ho scritto tantissime canzoni. Anche cose assurde, che non usciranno mai: ho i cassetti pieni di pezzi che faccio ascoltare agli amici per riderci su, pezzi swing con un linguaggio antico... Ma è così che trovi i nuovi linguaggi. Ecco, posso dire che quello che sta per accadere ha il sapore di un nuovo linguaggio, marcherà l’avvio di qualcosa di diverso. E non aspetterò molto, il nuovo album esce il 2 dicembre 2016».

Dal vivo o in studio?
«Vivo quest’epoca di supremazia della musica dal vivo su quella registrata molto a fatica. Amo John Lennon e Lucio Battisti, che hanno fatto pochi concerti e hanno invece passato molte ore chiusi in uno studio, mi piace la vita raccontata nelle canzoni. Vorrei essere un artista quasi invisibile, ma oggi non si può. Dal vivo ti devi reinventare, devi tirar fuori una versione di te che è quasi all’opposto di quella del disco».
Tornare a vivere in Italia
«Facevo bene ad avere un po’ di timore... È chiaro che quando sei in tour, vedi il meglio, gente e posti bellissimi, ma un certo tipo di civiltà mi manca. Avevo bisogno di riavvicinarmi a me stesso, e sono tutt’altro che pentito della scelta, però il nostro Paese a volte mi va stretto, come a tutti, credo: tanti stadi non sono disponibili alla musica, in alcune regioni è ancora difficile suonare, e questo solo per parlare del mio lavoro. Dal punto di vista civile siamo pieni di buchi».
I dischi più belli
«Sto recuperando in extremis un po’ di ascolti dell’anno: ho finalmente ascoltato bene l’album dei Coldplay, che mi è piaciuto molto: interessante il taglio pop, che però non tradisce lo stile cantautorale. R. Kelly come sempre è tra i miei preferiti, Ed Sheeran per me è il meglio del 2015. E a chi vuole sentire qualcosa di diverso consiglio Miguel. C’è stata tanta bella musica quest’anno».
Il momento top
«Forse sono un bambino che non è mai cresciuto, ma tolto il tour, il momento di questo 2015 che ricorderò per sempre è Sanremo. Carlo Conti ha creato una scatola perfetta, ho cantato tanto e parlato poco, l’orchestra e i fonici hanno fatto un gran lavoro: è stato emozionante, molto molto. Ho sentito un dare/avere con il pubblico che non può essere frutto della mia fantasia e che mi ha riconciliato con la televisione. Al punto che mi piacerebbe succedesse ancora. Quella sera ho fatto amicizia con la tv».
Per Tiziano Ferro il 2015 è stato un anno importante, «il più importante, in generale – conferma – perché sono arrivati i frutti di tutta una carriera. È stato l’anno in cui ho capito che se ti metti a disposizione dei miglioramenti, questi poi arrivano». I numeri sono notevoli: quasi 350 mila copie del suo album antologico «Tzn», 500 mila spettatori tra concerti estivi negli stadi e autunnali nei palasport. E domani l’approdo alla prima serata di Rai 1 con uno speciale registrato in estate. 
Ma non è per questo che Tiziano Ferro è il simbolo del 2015 della musica italiana. Lo è perché tra tutti i nostri artisti, lui è quello che più è cambiato: «Mi apro di più, mi concedo di più, con rilassatezza, con meno protezione. L’esperienza dei concerti negli stadi è stata didattica, mi ha costretto a tornare alla prima elementare. In Italia ciascuno coltiva il suo orticello, anche se piccolo, è difficile cambiare status. Io quest’anno l’ho fatto, e la slavina professionale che ne è seguita mi ha spiazzato».
Concluso il tour, trascorso un tradizionalissimo Natale in famiglia, Ferro si racconta così: «Non ho mai visto tante cose giuste arrivare in un anno, non cose belle da lotteria, ma come conseguenza di una serie di sforzi. Per una volta mi piace tutto quello che ho, le persone con cui lavoro, la casa discografica che ho scelto: vorrei uno spray per fissare questo quadro fatto con i gessetti».

Stadio, non ti lascio
«Fare un tour vero negli stadi significa assumersi la responsabilità di chiedere ogni volta a tante persone di fidarsi di te. Quando vedi che tutto ciò che avviene, la soddisfazione è immensa: una volta salito sul palco, non mi sono mai sentito fuori posto, neppure un minuto. E ora agli stadi ci ho preso gusto».
Cosa si prova sul palco
«Può sembrare strano, visto il mestiere che faccio, ma io sono un ascoltatore, vivo in maniera intensa l’empatia delle persone. Mi piace percepire, sento le presenze, anche le differenze, sento l’intensità. Figuratevi in uno stadio! Salire su un palco in uno stadio è come affacciarsi per la prima volta alle cascate del Niagara. È un’esperienza tosta sentire la presenza di persone pensanti, parlanti, amanti, cantanti che hanno scelto quel giorno di essere lì per te».
Il prossimo album
«In questi due anni ho scritto tantissime canzoni. Anche cose assurde, che non usciranno mai: ho i cassetti pieni di pezzi che faccio ascoltare agli amici per riderci su, pezzi swing con un linguaggio antico... Ma è così che trovi i nuovi linguaggi. Ecco, posso dire che quello che sta per accadere ha il sapore di un nuovo linguaggio, marcherà l’avvio di qualcosa di diverso. E non aspetterò molto, il nuovo album esce il 2 dicembre 2016».

Dal vivo o in studio?
«Vivo quest’epoca di supremazia della musica dal vivo su quella registrata molto a fatica. Amo John Lennon e Lucio Battisti, che hanno fatto pochi concerti e hanno invece passato molte ore chiusi in uno studio, mi piace la vita raccontata nelle canzoni. Vorrei essere un artista quasi invisibile, ma oggi non si può. Dal vivo ti devi reinventare, devi tirar fuori una versione di te che è quasi all’opposto di quella del disco».
Tornare a vivere in Italia
«Facevo bene ad avere un po’ di timore... È chiaro che quando sei in tour, vedi il meglio, gente e posti bellissimi, ma un certo tipo di civiltà mi manca. Avevo bisogno di riavvicinarmi a me stesso, e sono tutt’altro che pentito della scelta, però il nostro Paese a volte mi va stretto, come a tutti, credo: tanti stadi non sono disponibili alla musica, in alcune regioni è ancora difficile suonare, e questo solo per parlare del mio lavoro. Dal punto di vista civile siamo pieni di buchi».
I dischi più belli
«Sto recuperando in extremis un po’ di ascolti dell’anno: ho finalmente ascoltato bene l’album dei Coldplay, che mi è piaciuto molto: interessante il taglio pop, che però non tradisce lo stile cantautorale. R. Kelly come sempre è tra i miei preferiti, Ed Sheeran per me è il meglio del 2015. E a chi vuole sentire qualcosa di diverso consiglio Miguel. C’è stata tanta bella musica quest’anno».
Il momento top
«Forse sono un bambino che non è mai cresciuto, ma tolto il tour, il momento di questo 2015 che ricorderò per sempre è Sanremo. Carlo Conti ha creato una scatola perfetta, ho cantato tanto e parlato poco, l’orchestra e i fonici hanno fatto un gran lavoro: è stato emozionante, molto molto. Ho sentito un dare/avere con il pubblico che non può essere frutto della mia fantasia e che mi ha riconciliato con la televisione. Al punto che mi piacerebbe succedesse ancora. Quella sera ho fatto amicizia con la tv».