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 2015  dicembre 29 Martedì calendario

L’Abc di Simenon, dall’albergo allo zigzag

Albergo Poco prima, mentre si abbandonavano freneticamente all’amore, quei rumori (della strada, ndr) arrivavano sino a loro fondendosi con i loro corpi, la loro saliva, il loro sudore, con il candore del ventre di Andrée e il colore più scuro della pelle di lui, con la losanga di luce che tagliava in due la stanza, con l’azzurro delle pareti, un riflesso danzante sullo specchio e l’odore dell’albergo. Un odore che sapeva ancora di campagna, in cui si mescolavano gli effluvi del vino e dei liquori serviti nel salone all’entrata, dello stufato che cuoceva a fuoco lento in cucina, del materasso di crine vegetale un po’ ammuffito. 
(La camera azzurra, 1964, traduzione di Marina Di Leo) 
Banchiere Guy era diventato un estraneo, un uomo freddo e metodico come ci si immagina siano i grandi banchieri. 
(Betty, 1961, traduzione di Gabriella Luzzani) 
Corpo «Hai voglia di mettertelo, questo bel vestito, vero?». «Come hai fatto a indovinare?». Lo teneva in mano; con un movimento rapido e del tutto imprevisto si tolse l’abito nero che portava sempre, e lui ebbe l’impressione di vederla per la prima volta nella sua intimità. E forse era davvero la prima volta che la guardava spogliata. Di più: Combe si rendeva conto di non aver mai veramente desiderato di vedere il suo corpo. Le loro carni si erano avvinghiate selvaggiamente ed entrambi erano precipitati, non più tardi di quella stessa notte, in un abisso vertiginoso, eppure lui non avrebbe saputo dire com’era fatta. 
(Tre camere a Manhattan, 1946, traduzione di Laura Frausin Guarino) 
Domenica Non piove più. L’aria è serena. Sopra il tetto di ardesia che si asciuga a chiazze, il cielo è di un azzurro primaverile, senza una nuvola. Quando le campane tacciono, si resta sorpresi dalla calma che regna fuori, non passano camion e non si sentono i rumori dei giorni feriali. È la calma della domenica mattina, e anche nell’ospedale c’è meno movimento degli altri giorni. 
(Le campane di Bicêtre, 1963, traduzione di Laura Frausin Guarino) 
Elizabeth Etamble (detta Betty) «La sottoscritta, Elisabeth Etamble, nata Fayet... Perché ho dovuto scrivere il mio vero nome. Era un documento ufficiale. Elisabeth Etamble, nata Fayet, riconosce di essere una puttana, di avere sempre avuto amanti, prima e dopo il matrimonio, raccattandoli nei bar come una professionista e introducendoli nel domicilio coniugale dove è stata sorpresa mentre faceva l’amore a due passi dalla camera delle figlie...». 
(Betty) 
Felicità Non facevamo progetti per l’avvenire. Non basta questo a dimostrare che eravamo felici? 
(Lettera al mio giudice, 1951, traduzione di Dario Mazzone) 
Giornali «Ah, io sarei una puttana... E perché nostro padre chi ha sposato?... Parlo della mamma, sì... Di questa storia non ne vuoi sapere niente, vero?... E invece mi devi ascoltare, altrimenti continuerai a farti ridere dietro... Non era ancora molto ricco all’epoca... Cominciava appena ad affilarsi le unghie... Lavorava per un piccolo giornale che faceva più soldi con gli articoli non pubblicati che con quelli pubblicati... Non capisci neanche questo?... Era un giornale scandalistico, ricattavano la gente... Il direttore era Dorchain, il deputato... E tuo padre era ben contento di andare a letto con la moglie di un deputato...». 
(Il destino dei Malou, 1947, traduzione di Federica Di Lella e Maria Laura Vanorio) 
Halles Ogni tanto, soprattutto d’inverno, si allontanava dall’ufficio di rue Montorgueil e vagava per una quindicina di minuti, il più delle volte sotto una pioggerellina sporca, per le viuzze intorno alle Halles, dove certe luci sembravano alludere a torbidi misteri. 
(La fuga del signor Monde, 1945, trad. di Federica Di Lella e Maria Laura Vanorio) 
Inverno C’era nell’aria un che di sinistro, come quando d’inverno si ha l’impressione che il sole non tornerà mai più. 
(Il viaggiatore del giorno dei morti, 1941, traduzione di Laura Frausin Guarino) 
Joseph Lambert Ne aveva piene le scatole di tutto, di sua moglie, di suo fratello Marcel, delle puttane con i denti d’oro e dei giocatori di bridge, della città, dei giornalisti e dei fotografi, piene le scatole della radio, dei curiosi che passeggiano con aria innocente, delle donne che piangono e dei Victor che dispensano consigli. Ne aveva piene le scatole anche di se stesso, di essere un uomo. 
(I complici, 1956, traduzione di Laura Frausin Guarino) 
Kay (Kathleen Miller) Fumava come fanno le americane, con gli stessi gesti, la stessa piega delle labbra che si vede sulle copertine delle riviste e nei film. E aveva anche gli stessi atteggiamenti, lo stesso modo di scostare la pelliccia facendola scivolare sulle spalle, di mettere in evidenza l’abito di seta nera, di accavallare le lunghe gambe inguainate in calze chiare. 
(Tre camere a Manhattan) 
Lucidità Era lucido, ma la sua non era la normale lucidità di tutti i giorni, quella che ammettiamo di possedere; era, invece, quella lucidità che l’indomani ci fa arrossire, forse perché dà alle cose che in genere consideriamo banali la grandezza che scorgono in esse i poeti e le religioni. 
(La fuga del signor Monde) 
Muro Ed è per Martine che le scrivo tutto questo, signor giudice: perché qualcuno, perché un uomo sappia. Riconosce, adesso, che per me è impossibile mentire o alterare in minima parte la verità? Dove sono io, dove siamo Martine e io – perché siamo insieme, signor giudice – non si dicono più bugie. E se lei non riesce sempre a seguire il mio pensiero, a capire certe idee che la scandalizzano, non mi consideri pazzo: pensi semplicemente, con umiltà, che ho valicato un muro che forse un giorno valicherà anche lei, e al di là del quale le cose appaiono molto diverse. 
(Lettera al mio giudice) 
New York Due ampi viali pressoché deserti e, lungo i marciapiedi, grappoli di globi luminosi. Sull’angolo, delle vetrate oblunghe dalla luce violenta, aggressiva, di una volgarità chiassosa, o meglio una specie di gabbia di vetro all’interno della quale alcune sagome umane formavano delle macchie scure, e dove lui entrò per non essere più solo. Sgabelli fissati al pavimento davanti a un bancone interminabile fatto di un materiale freddo, quasi sicuramente plastica; e due marinai ubriachi e barcollanti, uno dei quali gli strinse la mano con aria solenne farfugliando qualcosa che non capì. Si sedette vicino a una donna, ma non lo fece di proposito, se ne accorse solo quando il negro in giacca bianca gli si fermò davanti in attesa dell’ordinazione. C’era un’aria di baldoria e di svaccamento, l’aria di quelle notti in cui ci si trascina senza decidersi ad andare a dormire, l’aria di New York, anche, con la sua violenta, tranquilla sregolatezza. 
(Tre camere a Manhattan) 
Odori Ben era lì, nella sua culla, tutto caldo, tranquillo, e mandava un buon odore di pane appena sfornato. «Non ti sembra che sappia di pane caldo?» aveva detto una volta a sua moglie. E lei aveva risposto, senza cattiveria, ne era certo, ma semplicemente perché quello era il suo modo di pensare: «Sa di pipì, come tutti i bambini». 
(L’orologiaio di Heverton, 1954, traduzione di Laura Frausin Guarino) 
P arigi Come per quel pomeriggio di Natale, non ritrova nella memoria né un «prima» né un «dopo», solo una Parigi che sapeva di polvere e di pernod. 
(Le campane di Bicêtre) 
Qualcosa Ora nella sua carne sbocciava davvero qualcosa, e i miei occhi non riuscivano a staccarsi dai suoi. Poi ha lanciato un grido più forte di qualunque altro, un grido animalesco e trionfante insieme; sorrideva di un sorriso nuovo nel quale si fondevano orgoglio e smarrimento – era un po’ confusa – e quando la sua testa è ricaduta sul cuscino, quando il suo corpo si è rilassato ha balbettato: «Finalmente!». 
(Lettera al mio giudice) 
Risposte Steve cercò la risposta. Avrebbe voluto rispondere con una sola parola, perché le uniche risposte vere sono quelle brevi. 
(Luci nella notte, 1953, traduzione di Marco Bevilacqua) 
Sud Gli venne in mente il mare. L’armonia formata dal mare e dall’azzurro lo investì come una ventata di aria mediterranea, e lui si ritrovò a invidiare quelli che vivevano al Sud, e che in quel periodo dell’anno indossavano pantaloni bianchi di flanella. 
(La fuga del signor Monde) 
Treni Avrebbe scrollato le spalle se gli avessero detto che la sua vita sarebbe cambiata di punto in bianco, e che quella fotografia sulla credenza, che lo ritraeva in piedi tra i familiari, una mano distrattamente poggiata sulla spalliera di una sedia, sarebbe stata riprodotta da tutti i giornali d’Europa. 
Se, insomma, avesse cercato in se stesso, in tutta coscienza, qualcosa che lo predisponesse a un burrascoso avvenire, sicuramente non avrebbe pensato a quella certa emozione furtiva, quasi vergognosa, che lo turbava vedendo passare un treno, un treno nella notte soprattutto, dalle tendine calate sul mistero dei viaggiatori. 
(L’uomo che guardava passare i treni, 1938, traduzione di Paola Zallio Messori) 
Uomo «Tuo padre era un uomo. E, credimi, un uomo è molto più raro di un uomo onesto, un giorno te ne accorgerai». 
(Il destino dei Malou) 
V erità Tutto quanto aveva detto al commissario era vero, ma capita a volte che niente sia più falso della verità. 
(La fuga del signor Monde) 
Whisky C’era molta gente, un bancone di rame, vassoi carichi di bicchieri di birra che le passavano all’altezza della testa e, intorno ai tavoli, uomini e donne che mangiavano. 
«Un whisky». 
«Con ghiaccio?». 
«Sì. Lo faccia doppio». 
«Seltz?». 
«Fa lo stesso». 
L’aveva quasi strappato dalle mani del barista per berlo avidamente, e intorno a lei alcuni l’avevano guardata con riprovazione. «Me ne versi un altro». 
(Betty) 
Xenofobia Tutto il Vieux-Marché formava ormai un fronte unico contro di lui, compresi probabilmente quelli che non sapevano niente della faccenda. Non se lo meritava, non solo perché, di qualunque cosa lo accusassero, lui era innocente, ma anche perché si era sempre sforzato, con discrezione, senza fare chiasso, di vivere come loro, con loro, e di essere simile a loro. 
Fino a qualche giorno prima credeva di esserci riuscito, a furia di pazienza e di umiltà. Si era anche mostrato umile, infatti. Non dimenticava di essere uno straniero, di un’altra razza, nato nella lontana Archangelsk e trapiantato, in seguito alle vicende della guerra e della Rivoluzione, in una piccola città del Berry. 
(Il piccolo libraio di Archangelsk, 1956, traduzione di Massimo Romano) 
Y vette La rivedo alzarsi, più pallida, sforzandosi di sorridere con aria sicura, pronta a giocare con grinta la partita decisiva. Si guardò intorno fermando lo sguardo sull’unico angolo della mia scrivania che non fosse ingombro di carte, poi, tirandosi su la gonna fino alla cintola, si lasciò cadere all’indietro mormorando: 
«Tanto vale che ne approfitti prima che mi mettano in prigione». 
Non portava mutandine. Vidi per la prima volta le sue cosce magre, il ventre tondo da ragazzina, il triangolo scuro del pube e, senza una ragione precisa, sentii il sangue montarmi alla testa. 
(In caso di disgrazia, 1956, traduzione di Laura Colombo) 
Zigzag Sono arrivati degli ingegneri per collaborare con la gendarmeria. Per quel che se ne sa al momento, una macchina che procedeva a zigzag all’improvviso ha tagliato la strada al pullman, e questo, per evitare lo scontro, ha urtato un albero ed è stato letteralmente scaraventato contro il muro dello Chateau-Roisin. 
(I complici)