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 2015  dicembre 28 Lunedì calendario

Metodi cinesi. Per contrastare il calo demografico adesso si possono fare due figli (ma non ci sono donne a sufficienza). Invece per contrastare il terrorismo si possono aumentare i controlli sulle aziende e sulla stampa

Da ieri, è lettera di legge, ufficiale: tramontata, morta e sepolta la politica del figlio unico, che dal 1979, per arrestare l’esplosione demografica cinese, ha portato disastri a catena, che avranno bisogno di generazioni per essere smaltiti e assorbiti. Uno degli ultimi atti del Parlamento cinese del 2015 è dunque foriero di maggiori libertà per le coppie cinesi – per quanto con l’ufficializzazione della fine della politica del figlio unico il governo cinese non è ancora uscito dalle camere da letto dei cinesi. Le coppie sposate non sono più costrette ad avere un solo figlio, ma non possono farne più di due. Ed ancora non sono state rese più facili le cose per chi ha figli fuori dal vincolo matrimoniale.
Troppo tardi
La fine della politica del figlio unico era stata annunciata nei mesi scorsi, e il Paese ha dunque avuto modo di valutare in che misura il cambiamento della politica demografica modificherà la situazione. Tutti gli esperti concordano che la decisione del governo è arrivata troppo tardi, dato che convincere oggi le coppie urbane ad avere due figli non è cosa facile per l’aumento del costo della vita: già il 50% delle coppie ha infatti detto di non potersi permettere un secondo figlio. Dopo quasi quarant’anni sarà difficile contrastare sia il rapido invecchiamento della popolazione, sia il disequilibrio demografico fra maschi e femmine. Guardiamo alcune statistiche: già dal 2012 la popolazione attiva cinese ha cominciato a ridursi, e secondo il Paulson Institute nel 2050 (quando la popolazione raggiungerà 1,45 miliardi di persone) ci saranno appena 1,6 lavoratori per ogni pensionato. Da oggi al 2030 la popolazione attiva calerà del 7% all’anno. Nell’immediato, si prevede un mini-baby boom, che ha portato gli ospedali ad avere il tutto completo nei reparti maternità per il prossimo anno, e a un aumento significativo delle azioni dei prodotti per neonati anche in una Borsa che chiude l’anno con il segno meno.
Matrimoni impossibili
Per quanto riguarda il disequilibrio demografico, si calcola che ci sono più di 33 milioni di uomini in Cina ancora in età riproduttiva costretti a restare celibi per la scarsità di donne.
Secondo il governo cinese, i quasi 40 anni di politica del figlio unico hanno evitato 400 milioni di nascite: una statistica controversa, che non tiene conto del naturale calo delle nascite che va di pari passo con l’urbanizzazione, ma che viene utilizzata per dimostrare che la questa politica ha mantenuto sotto controllo un’esplosione demografica. Da oggi in poi, la Cina deve vedere in che modo potrà raddrizzare le conseguenze della sua interferenza nel ciclo riproduttivo naturale. Molti sono convinti che le sofferenze passate – multe, aborti forzati anche a gravidanza inoltrata, figli non dichiarati e quindi senza diritti per anni – non saranno né cancellate né ricompensate, e la disumana freddezza dei piani regolatori delle nascite ha lasciato cicatrici profonde.
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Nel giorno in cui apre a maggiori libertà personali per quanto riguarda il numero di figli per ogni famiglia, la Cina, con la scusa del terrorismo, vara anche la più repressiva legge sull’utilizzo di Internet e il controllo delle aziende che intendono operare sul suo territorio.
Controllo totale
Con questa legge la concezione cinese della sorveglianza verrà in parte estesa anche al resto del mondo: le aziende internazionali dovranno infatti obbedire alle richieste del governo cinese e rivelare le chiavi cifrate (encryption) per le comunicazioni sicure, o dotare di «back doors» i dispositivi elettronici da loro prodotti venduti sul mercato cinese. La Apple, per esempio, ha assicurato di non voler introdurre «back doors» – ma ciò significa che dovrà consegnare le informazioni che Pechino potrebbe chiederle. Il presidente Obama ha detto di aver comunicato al presidente Xi Jinping la sua inquietudine per i nuovi poteri che la legge conferisce al governo cinese rispetto alle aziende internazionali. Le Camere di commercio e le associazioni industriali hanno espresso il timore che la quantità crescente di nuove leggi che controllano il loro operato in Cina sia una nuova forma di protezionismo.
Repressione interna
La legge autorizza, inoltre, per la prima volta l’Esercito a partecipare ad azioni anti-terrorismo all’estero – e in particolare cerca di convincere il mondo intero che la Cina deve essere riconosciuta come un obiettivo del terrorismo internazionale e in particolare delle «forze del Turkestan Orientale». Con questo la Cina vuole dunque mettere i problemi nello Xinjiang (la regione centro-asiatica sotto sovranità cinese, abitata da 10 milioni di uiguri, popolazione turcofona di religione islamica) sullo stesso livello di quelli che il resto del mondo affronta con il terrorismo a sfondo islamico. La determinazione cinese è tale che la settimana scorsa la giornalista francese Ursula Gauthier, del Nouvel Obs, è stata espulsa dalla Cina per un articolo in cui affermava che i problemi dello Xinjiang sono causati dalla repressione e occupazione cinese, e non da terrorismo. La stampa sarà ulteriormente controllata, dal momento che viene proibito a tutti i media di fornire dettagli degli attacchi che le forze di sicurezza definiranno come «terroristici», o mostrare immagini «crudeli ed inumane».
Secondo Nicholas Bequelin, direttore di Amnesty International a Hong Kong, «la nuova legge rappresenta un grave pericolo per i diritti umani, perché definisce il terrorismo in modo elastico e politicizzato».