Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 28 Lunedì calendario

Intanto Margrethe Vestager cuce all’uncinetto piccoli elefanti di lana

In riunione, spesso Margrethe Vestager si concentra cucendo all’uncinetto piccoli elefanti di lana. L’anno scorso ne ha lasciato uno in ricordo il giorno in cui ha lasciato il suo ufficio di ministro dell’Economia (e vicepremier) di Danimarca per venire a Bruxelles come commissario Ue alla Concorrenza. Vestager aggiunse una nota per il suo successore, Brian Mikkelsen: «Gli elefanti animali sono sociali, perspicaci. Vivono in comunità e – devo dire – in gruppi matriarcali. Non portano rancore, ma ricordano bene».
Che fosse un biglietto di auguri o un programma, Vestager a Bruxelles non ha cambiato abitudini. Questa donna di 47 anni, sposata con un insegnante di matematica delle superiori, tre figli adolescenti che le fanno sembrare il resto degli impegni al confronto facili da gestire, continua a cucire. Continua ad esercitare perspicacia. E continua a non dimenticare. Non solo il caso delle banche italiane, sul quale i suoi funzionari nell’ultimo anno si sono dimostrati interlocutori difficilissimi per il governo italiano.
Da quando è arrivata a Bruxelles, tredici mesi fa, Vestager ha fatto segnare un’accelerazione della direzione generale Concorrenza su molti altri fronti. Dopo cinque anni di tentativi di trovare un compromesso, ha aperto un’inchiesta formale conto Google per abuso di posizione dominante sul mercato delle ricerche in rete. Il gruppo di Mountain View rischia una multa da oltre sei miliardi di euro: era dai tempi della sfida di Mario Monti a Microsoft che l’Antitrust europea non tentava un affondo simile su un colosso tecnologico degli Stati Uniti, sul quale le stesse autorità di Washington hanno gettato la spugna. Quel giorno il commento di Vestager su Google è stato di scandinava semplicità: «I miei figli ed io stessa non ci fermiamo mai a chiederci se questa è un’azienda americana o europea. La usiamo perché ha buoni prodotti, ma deve rispettare le regole».
In aprile Vestager ha firmato una seconda lettera di accuse per abuso di mercato a Gazprom, il colosso russo del gas che Vladimir Putin usa (anche) come strumento geopolitico in Europa centro-orientale. Anche contro gli aiuti di Stato Vestager si è dimostrata più assertiva del suo predecessore, lo spagnolo Joaquin Almunia: ha aperto procedure per sospetti vantaggi fiscali di Fiat-Fca, Starbucks e Amazon mentre un caso simile, più pesante, è in preparazione contro Apple.
«È completamente priva di sentimenti», ha detto di lei al New York Times il notista politico danese Martin Krasnik. Una donna del genere va dunque compresa, se finora si è rifiutata di spiegare la sua posizione sulla Cassa di Teramo, sulla Popolare dell’Etruria o sull’intero dossier della bad bank necessaria al sistema del credito in Italia per ripartire. Da ministro di Copenaghen – liberale di sinistra – Vestager aveva lottato a Bruxelles dare più spazio nei bilanci delle banche alle obbligazioni garantite, una specialità danese; ma si era rifiutata di concedere agli istituti sgravi fiscali che li aiutassero ad adeguarsi a nuove norme più dure. Sulla stessa linea, da commissario Ue ha delegato il dossier italiano a un funzionario tutt’altro che flessibile: l’olandese Gert Jan Koopman, il vice-direttore generale per gli aiuti di Stato.
Che sia priva di sentimenti però non è esatto. Figlia di due pastori luterani, Vestager ha esordito al governo come ministro per gli Affari ecclesiastici (e l’educazione). Affonda le sue radici nell’ispirazione religiosa, e forse anche questo la rende poco impressionabile. Di recente ha descritto su Twitter una statuetta che tiene sul tavolo: un pugno chiuso con il dito medio alzato. Gliel’ha regalata un sindacalista con cui stava negoziando. «Mi ricorda che non puoi trovarti d’accordo con tutti».