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 2015  dicembre 28 Lunedì calendario

Le truppe irachene sono entrate a Ramadi. Adesso sarà arduo per il Califfo prendere Baghdad.• Chiariamo

Le truppe irachene sono entrate a Ramadi. Adesso sarà arduo per il Califfo prendere Baghdad.

Chiariamo.
Siamo nello Stato islamico, altrimenti noto come Isis oppure come Daesh. Lo Stato islamico comprende un pezzo del territorio iracheno e un pezzo del territorio siriano. Nel pezzo di territorio iracheno controllato dall’Isis stanno pure la provincia dell’al-Anbar e la città di Ramadi, che un tempo era abitata da 300 mila persone, e oggi è vuota, oltre che ridotta in macerie. Ramadi era stata presa dal Califfo lo scorso maggio, una vittoria strategicamente importante perché Baghdad, la capitale dell’Iraq, è ad appena un centinaio di chilometri. Ma, da allora ad oggi, sono entrati in campo i russi e la diplomazia occidentale ha ottenuto qualche risultato. Combattono contro il Califfato in questo momento Putin e i paesi sciiti (Iran eccetera), i sauditi e una coalizione di paesi sunniti, infine un’alleanza che sta intorno agli americani e comprende 62 nazioni. L’altro giorno al Baghdadi, per incoraggiare i suoi in un momento chiaramente difficile, ha diffuso un messaggio in cui sostiene che proprio il fatto di aver contro tutto il mondo è garanzia di purezza. Ma, per il momento, si tratta di gestire una ritirata e fino ad ora il Califfo non ha dato grande prova di sé quando s’è trattato di tentare qualche controffensiva. Quindi la presa di Ramadi, che si accompagna all’avanzata curda verso Raqqa (sono a una ventina di chilometri) e al controllo della diga di Mosul (importantissimo: ci andranno anche 450 soldati italiani e tecnici di Cesena per ripararla), è un fatto di estrema importanza.  

Com’è andata?
Qualche giorno prima di Natale è stato steso un ponte mobile sull’Eufrate e su questo ponte sono passati 15 mila genieri della Golden Division, 1.200 uomini delle tribù sunnite che si sono ribellate al Califfo (il Califfo è sunnita), e qualche milizia scelta sciita. In questa operazione c’è, molto forte, la mano americana: il ponte mobile è di quelli tipici degli Stati Uniti, i genieri della Golden Division sono stati addestrati dagli americani, si sa che le avanguardie sono guidate da 200 addestratori statunitensi appoggiati da elicotteri Usa. A questa forza piuttosto impressionante, il Califfo ha opposto alla fine appena trecento combattenti, in massima parte cecchini appostati sui tetti della parte centrale della città. Altri militanti dell’Isis hanno provveduto a far saltare i ponti e a piazzare mine dovunque, prima di darsi alla fuga. Queste operazioni tipiche degli eserciti in ritirata hanno provocato un rallentamento, ma non hanno certo fermato la marcia a guida americana. Ieri è stata issata la bandiera dell’Iraq sul complesso governativo che si trova al centro della città. Il vessillo nero dello Stato islamico è stato ammainato. «Controllare il complesso governativo significa aver sconfitto l’Isis a Ramadi» ha detto il portavoce delle forze irachene, Sabah al Numani.  

Che succede adesso?
Se il Califfo comincia a perdere, il suo prestigio e la sua capacità di persuadere e arruolare ne saranno intaccati. Risulta in effetti un minore flusso di volontari verso le milizie nere. Bisognerà poi prendere Mosul, la capitale dello Stato islamico, e a quel punto si potrà dire che l’Isis è stato sconfitto. Forse.  

Perché “forse”?
La sensazione è che il Califfo stia meditando una specie di ritirata in Libia. Il punto d’arrivo di questo ripiegamento sarebbe Sirte, dove effettivamente è in corso un rafforzamento delle milizie fedeli all’Isis e un’estensione dell’area controllata dai jihadisti. Un cuneo piazzato tra Tripolitania e Cirenaica che può congiungersi ai combattenti della Tunisia e dell’Algeria meridionale e connettersi alla fine con i Morabitun del Mali settentrionale, dove opera Mokhtar Belmokhtar.  

In Libia non è in corso tutta un’operazione alla fine della quale dovremmo esserci noi a comandare qualcosa che assomiglia a una coalizione internazionale?
I contrasti libici sono il miglior alleato del Califfo, il quale non può che sguazzare in un territorio senza governo. Però, grazie al lavoro dell’ultimo mediatore Onu, Martin Kobler, i due governi libici di Tripoli e di Tobruk sembrano intenzionati a permettere la nascita di un esecutivo unitario. Sarà fondamentale qui l’intesa tra i paesi arabi. Fino ad ora Qatar e Turchia hanno appoggiato il governo di Tripoli, mentre Egitto ed Emirati si sono schierati con Tobruk. Ma sembra proprio che il califfo faccia così paura da averli persuasi a lasciar perdere le loro divisioni.