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 2015  dicembre 27 Domenica calendario

In che modo Canova recuperò le opere d’arte trafugate dai francesi

Quest’anno ricorre il duecentesimo anniversario del congresso di Vienna, evento di fondamentale importanza (e forse non sufficientemente celebrato) che creò le basi di una lunga pace europea fino al 1870-71. Contemporaneamente agli incontri diplomatici viennesi, che si svolsero fra il novembre del 1814 e il giugno del 1815, papa Pio VII incaricò Antonio Canova di recuperare a Parigi i numerosi beni italiani trafugati dai francesi. Potrebbe illustrare meglio il ruolo che ebbe lo scultore italiano in quella vicenda? Giovanni Godoli
giovannigodoli@gmail.com
Caro Godoli,
Negli anni in cui Napoleone trasferì in Francia una parte considerevole del patrimonio artistico accumulato dal pontefice romano e dai principi italiani per dare lustro alle loro corti, Antonio Canova si distinse per la forza degli argomenti con cui cercò, quasi sempre inutilmente, di evitare l’esproprio. Sostenne che l’arte era indissolubilmente legata alla storia di un popolo e della sua terra, che il suo sradicamento dal contesto in cui era nata poteva essere considerato una sorta di mutilazione. Quando venne in discussione il problema della restituzione, Canova, quindi, era la persona più adatta ad occuparsene. La missione a Parigi di cui venne incaricato dal cardinale Ettore Consalvi, segretario di Stato, fu il recupero delle 100 opere d’arte che lo Stato pontificio aveva ceduto alla Francia per onorare una clausola del Trattato di pace stipulato dalla Santa Sede con Napoleone Bonaparte nel 1797. A Parigi Canova trovò un vecchia conoscenza. Era Vivant Denon, artista e collezionista, compagno di Bonaparte in Egitto e, più tardi, insaziabile sovrintendente delle «acquisizioni» realizzate dalla Francia durante il periodo napoleonico.
Mentre Denon difendeva il suo bottino con le unghie e con i denti, Canova lo aggirò rivolgendosi a Wellington, il grande comandante inglese che aveva sconfitto Napoleone a Waterloo. Ancora più decisivo, tuttavia, fu l’intervento del principe di Metternich, cancelliere austriaco, a cui premeva recuperare le opere provenienti da Venezia e dai ducati satelliti dell’Austria nell’Italia centrale.
Forte del loro sostegno, Canova, con un drappello di soldati austriaci e prussiani, espugnò il Louvre e staccò dai muri una buona parte delle opere reclamate dagli Stati pontifici. Tuttavia, secondo una storica della Pinacoteca Vaticana, Ilaria Sgarbozza, quando queste e altre opere furono caricate su un convoglio composto da 41 carri trainati da 200 cavalli, fu chiaro che mancavano all’appello almeno 33 delle 100 opere cedute con il trattato del 1797.
In una lettera a Consalvi, Canova promise che avrebbe continuato le ricerche in altre città della Francia. Ma aggiunse che alcune opere erano nei palazzi reali, da cui non era facile rimuoverle, e altre nelle chiese. Per queste, in particolare, scrisse con un tocco di ironia: suppongo che a Sua Santità non spiacerà lasciarle dove sono.