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 2015  dicembre 27 Domenica calendario

La fonderia dove è morto Bozzoli rischia la chiusura. Secondo gli inquirenti l’assassinio era stato programmato da tempo

BRESCIA Dall’8 ottobre ad oggi non hanno mai fatto una telefonata alla zia e ai due cugini. Non hanno provato a condividere il loro dolore per la scomparsa di Mario Bozzoli, che secondo la procura di Brescia è stato ucciso e gettato nel forno della sua fonderia.
Una mancata telefonata non può essere certo una prova di colpevolezza. Ma per gli inquirenti è un indizio non da poco. Che li porta a ribadire come Alex e Giacomo Bozzoli sappiano eccome che fine abbia fatto lo zio. E il cerchio delle indagini si sta stringendo intorno a loro e ai due operai presenti la sera del delitto (Oscar Maggi ed il senegalese Akwasi Aboagye, detto Abu), che da nove giorni sono indagati per omicidio volontario e distruzione di cadavere. Gli inquirenti parlano di «un quadro indiziario molto pesante, anche se non ci sono ancora prove. Chi ha ucciso Bozzoli ha pianificato tutto, forse da molto tempo». E confermano la frase «prima o poi ammazzo lo zio» che – stando agli atti dell’inchiesta – avrebbe pronunciato più volte il nipote più giovane, Giacomo. I rapporti tra le due famiglie sarebbero stati davvero molto tesi da almeno tre anni. Uno scenario che conferma la denuncia presentata ai carabinieri da Irene Zubani, la moglie di Mario Bozzoli, all’indomani della sua scomparsa. Parlava dei timori del marito, dei suoi sospetti nei confronti dei nipoti. Ora si attendono i risultati delle analisi sulla grande mole di scorie di fonderia isolate dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo. I Ris di Parma e gli esperti di un laboratorio chimico di Milano cercano frammenti di ossa o protesi dentarie, che confermino la drammatica morte di Bozzoli.
Ora per la fonderia del mistero, che fatturava 40 milioni l’anno e che è sotto sequestro dal 13 ottobre, si apre anche un problema occupazionale. Per i sindacati i 14 dipendenti rischiano di perdere per sempre il posto di lavoro. «Qualsiasi azienda chiusa per più di due mesi rischia di non riaprire più – commenta Stefano Olivari, portavoce della Fim Cisl territoriale —. I lavoratori hanno ricevuto la tredicesima ma non ancora lo stipendio di novembre e dicembre. Dovrebbero essere in cassa integrazione ordinaria ma l’Inps, per erogarla, vuole una data di ripresa dell’attività». I sindacati hanno quindi chiesto un incontro con il procuratore capo Tommaso Buonanno: «Chiediamo che almeno possa essere ripristinata la parte amministrativa – prosegue Olivari – per mantenere i rapporti con i clienti in attesa». Ma lo stesso procuratore aveva già fatto sapere ai sindacati che i sigilli non saranno tolti «finché non si è certi di non trovare qualcosa».