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 2015  dicembre 15 Martedì calendario

La Leopolda, il rito autoreferenziale e decrepito di Renzi

Che cos’è la Leopolda? Davvero per Matteo Renzi è diventata un boomerang? Renzi lo conobbi nel 2009 a Vedrò, convention politica fondata da Enrico Letta che riuniva politici e imprenditori e giornalisti sulle rive del Garda. Fu gentile: si presentò lui. Ecco, non è esatto dire che Vedrò era la Leopolda di Enrico Letta: è la Leopolda, semmai, che è diventata la Vedrò di Matteo Renzi, visto che l’ha praticamente copiata (la vita è plagio più fantasia) e ne ha mantenuto lo stesso stile trasversalistico. Niente di male, niente di occulto. Poi, sappiamo, Letta e Renzi sono diventati entrambi presidenti del Consiglio, dunque una comparazione tra i due meeting può essere rivelatrice. Qual è allora la differenza? È questa: Letta è diventato premier e ha subito sospeso Vedrò per «l’attenzione spasmodica dei media»; Renzi invece ha mantenuto la Leopolda per la stessa ragione, cioè per l’attenzione spasmodica dei media.
È tutto qui, ma il punto non è solo, ora, mettersi a profilare due diversi archetipi della politica e del Partito Democratico: il punto è che la cosa riguarda tutti, perché quello lì che parlava – domenica sera, arringando e comiziando alla Leopolda – di passaggio era il nostro capo del governo. Ora: se voi credete che Angela Merkel o altri capi di governo di norma si mettano ad arringare e comiziare nel corso di convention parallele all’attività di governo e indubbiamente autoreferenziali, beh, sappiate che non è così. Se voi credete che altri capi di governo confondano dolosamente il piano istituzionale con un piano più lobbistico e autocompiaciuto e circense, no, sappiate che non lo fanno. Inutile chiederne conto alla maggior parte dei giornalisti, cui non par vero che un certo rutilante cazzeggio parolaio – che amano inseguire per mestiere – si trasferisca per qualche giorno in sedi meno polverose e più ludiche, con in più sullo sfondo le canzoncine di Max Gazzè e Jovanotti (l’Unità ha pubblicato la classifica delle songs più ascoltate) e scenografie pop e microfoni aperti. Il problema sorge nel momento in cui il piano istituzionale e personale si sovrappongono, non facendoci più capire chi sta dicendo che cosa, a nome di che cosa, e dove.
Si pensi all’europarlamentare incazzata che se l’è pigliata con Matteo Salvini – che ci può stare – oppure ai ministri del governo che rispondevano direttamente ai cittadini dal palco della Leopolda – che ci stanno molto meno. Ma soprattutto, si pensi al fatto che una ministra abbia un padre coinvolto in una brutta faccenda di banche (sporcata dal suicidio di un risparmiatore) e che pensi di cavarsela con una battuta dopo aver liquidato la stessa faccenda in un’altra notissima sede istituzionale, cioè la presentazione di un libro di Bruno Vespa. Dire «mio padre è una persona perbene» non è una risposta seria, e un governo tenuto alla massima chiarezza non può certo accontentarsene: così come le richieste di dimissioni del ministro, eventualmente da respingere motivatamente, non possono essere formulate solo da Saviano, cioè solo da uno scrittore che ogni tanto chiede le dimissioni di qualcuno. Altrimenti il casino diventa massimo, e la Leopolda – che è ancora un ex stazione ferroviaria, sino a prova contraria – diventa oltretutto un boomerang, un inciampo d’immagine autoinflitto, un pulpito illegittimo dal quale Renzi e la sua ministra sembra che parlino troppo o, a seconda, troppo poco.
C’è una banca, inguaiata, di cui il padre di un ministro in carica era diventato vicepresidente subito dopo l’ascesa di questo ministro. Mettersi a comiziare (Renzi) o a far finta di niente (Boschi) pare piuttosto discutibile se non grave, ma farlo addirittura da una kermesse politico-festaiola pare ridicolo. Maria Elena Boschi, in particolare, è parsa emozionata, tesa e reticente. Matteo Renzi, sul tema banche, è parso vacuamente rutilante. Il question time con i ministri suonava combinato lontano un chilometro, tra l’infantile e il coreano. Il sondaggio sulle peggiori prime pagine dei giornali (in realtà solo Libero, Il Giornale e Il Fatto Quotidiano) ha raccolto solo 1500 voti e molte alzate di spalle, mentre della residua traiettoria del boomerang, come dire: ci importa meno. Se la minoranza del partito non era presente (anzi, sono fioccate iniziative di contrapposizione) in fondo sono affari del Pd: ma sempre di boomerang si tratta. La Leopolda – dalla rottamazione alla celebrazione – ha fatto un giro nell’iperspazio e dopo sei anni è tornata decrepita.