Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 01 Martedì calendario

La Corte Costituzionale, i tre giudici mancanti e i tre zerbini di Renzi. Oggi forse assisteremo alla 29° fumata nera

Oggi il Parlamento in seduta comune proverà per la 29ª volta a eleggere i tre giudici che mancano alla Corte costituzionale dopo l’uscita di Mazzella, Napolitano (omonimo dell’ex presidente) e Mattarella. E tutto lascia pensare che sarà l’ennesima fumata nera e che altre ne seguiranno. La colpa non è del Parlamento, ormai ridotto a timbraordini del governo. Ma di Matteo Renzi che s’è messo in testa di mandare alla Consulta tre zerbini che gli garantiscano in anticipo di approvare le sue schiforme (elettorale e costituzionale), a dispetto dei numeri, del buonsenso, del pluralismo, della legge e della Costituzione. Il fatto che il premier faccia carte false per renzizzare la Consulta dimostra che lui stesso sospetta le sue schiforme di incostituzionalità, altrimenti non paralizzerebbe le Camere per garantirsi tre giudici à la carte.
Lo stallo, infatti, non dipende dalla difficoltà di mettere insieme la maggioranza dei due terzi richiesta in questi casi: i numeri, sulla carta, ci sono sia nel caso in cui il Pd concordi la terna con FI e la galassia centrista, rinverdendo il Patto del Nazareno, sia nell’eventualità che cambi verso e si rivolga ai 5Stelle. Dipende dai nomi che Renzi non solo ha scelto per il suo partito (Augusto Barbera, Pd), ma che pretende di decidere anche per gli altri (il centrista Giovanni Pitruzzella e il forzista Francesco Paolo Sisto). Nomi a vario titolo chiacchierati e dunque invotabili, nel segreto dell’urna, persino dai partiti di provenienza. Ci sarebbe pure la loro scarsa indipendenza di giudizio, per via delle rispettive compromissioni partitocratiche: ma questo, che per la Costituzione è un handicap insormontabile, per i partiti è un titolo di merito e non influisce sui franchi tiratori che l’ultima volta han fatto mancare 80 e più voti ai Magnifici Tre.
Barbera, curriculum alla mano, sarebbe il più titolato a ricoprire l’incarico: è un noto professore prestato in passato alla politica. Purtroppo un’indagine della Procura di Bari l’ha beccato a raccomandare per un concorso universitario il figlio dell’amico Francesco Pizzetti, allora garante della Privacy. Non un bel viatico per chi dovrebbe difendere i principi di eguaglianza e di imparzialità della Costituzione nel Tribunale delle Leggi. Ma Renzi (e Mattarella) lo vuole assolutissimamente, perché non solo è favorevole alle schiforme: ne è un fan sfegatato, come ha voluto rammentare con imbarazzante eccesso di zelo un mese fa nell’Enciclopedia del Diritto della Giuffrè.
Lì Barbera non si è limitato a dire mirabilie dell’Italicum e del nuovo Senato ignorandone tutti i difetti (avremo un “governo modello Westminster”, addirittura). Ma ha pure colto l’occasione per irridere ai costituzionalisti che osano dubitare, dipingendoli come ridicoli “conservatori” ossessionati dall’“ombra del tiranno”. Sisto è uno dei tanti avvocati portati in Parlamento da B., disposto a sostenere le più plateali panzane (tipo Ruby nipote di Mubarak) pur di compiacere il capo; e ha pure difeso Fitto (con cui ha avuto un fugace flirt) e Verdini (sempre molto bisognoso di penalisti). Pitruzzella ha navigato in tutto il sottobosco politico siciliano: consulente di Renato Schifani e di alcuni fra i peggiori governatori regionali, da Capodicasa a Lombardo a Cuffaro, col quale ultimo scrisse pure un indimenticabile libro a quattro mani dal titolo imperituro Il coraggio della politica. Un curriculum che avrebbe dovuto già sconsigliare la sua nomina a presidente dell’Antitrust, figurarsi a giudice costituzionale. Tantopiù che è pure indagato a Catania per corruzione in atti giudiziari nell’ambito di un arbitrato che diede ragione all’università-patacca “Kore” di Enna contro l’ateneo etneo in una lite da 100 milioni.
Come si possa insistere, come farà oggi il Pd, a mandare alla Consulta un indagato, e per un reato così grave, lo sa solo Renzi. Il capogruppo-yesman Ettore Rosato dice che, siccome “il pm ha chiesto l’archiviazione di Pitruzzella per tre volte, il caso non esiste”. Peccato che per tre volte il capo dei Gip di Catania Nunzio Sarpietro abbia respinto la richiesta, dunque il caso esiste eccome: salvo stabilire con una spettacolare piroetta giuridica che il parere di un pm vale più della decisione di un giudice terzo. Ce n’è abbastanza per prendere il terzetto e cestinarlo in blocco, ripartendo da tre nuovi giuristi di chiara fama e indipendenza, possibilmente non indagati e non legati a filo doppio ai partiti, anzi al premier. Ce ne sono di ottimi, di cultura sia conservatrice sia progressista. Se poi i partiti proprio non ce la fanno a levare le zampe dalle istituzioni di garanzia, che almeno seguano il manuale Cencelli e procedano a una bella lottizzazione da Prima Repubblica: un simulacro di pluralismo, ma sempre meglio della renzizzazione. Un giudice scelto dal Pd, uno da FI e uno dal M5S (seconda forza politica in Parlamento e nei sondaggi), possibilmente in grado di raggiungere i due terzi. È arcinoto che i 5Stelle voterebbero il giurista Pd Massimo Luciani (gradito anche dalla minoranza) e quello FI Giovanni Guzzetta, oltre al loro candidato Franco Modugno (professore indipendente che non risulta essere un “grillino”).
Quindi la soluzione c’è: basta che qualcuno (un nome a caso: Mattarella) richiami Renzi a un minimo di decenza istituzionale. Che, per quanto possa sembrargli strano, non è roba sua. Dopodiché se le schiforme sono legittime la Corte le approverà e se sono incostituzionali le boccerà. Funziona così in quella che, per quanto possa sembrargli strano, dovrebbe ancora chiamarsi democrazia.