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 2015  novembre 28 Sabato calendario

App, videogiochi e chat: così i terroristi aggirano le intercettazioni

A vincere, ieri, è stata l’ironia. «Mio figlio gioca e scambia messaggi sulla PlayStation. Mi devo preoccupare?», ha scritto su Twitter una mamma. La frase arriva dopo le parole del ministro della Giustizia, Andrea Orlando: «La Rete offre numerose opportunità di comunicazione, nelle indagini antiterrorismo è stato segnalato anche l’uso delle PlayStation, per questo ogni forma di messaggio va monitorata con nuovi strumenti», ha detto giovedì. Alimentando il dibattito sul controllo del Web per combattere l’Isis. «Jihadisti e criminali sfruttano ogni piattaforma per comunicare – dalle app per la messaggistica istantanea alle chat dei videogiochi – per aggirare ogni sistema convenzionale di intercettazione», ragiona Umberto Rapetto, generale in congedo della Guardia di finanza e fondatore del Gat, il Gruppo anticrimine telematico. Ma questo non è colpa del proprietario del sistema. «Se fossi un bandito potrei persino usare il sito di un cuoco famoso e inserire tra i commenti alle ricette frasi che in realtà sono rivolte agli altri criminali», continua l’esperto. Che ricorda come «Al Qaeda comunicava anche via Napster, il programma per scaricare file». In teoria, quindi, anche la chat della PlayStation (150 milioni di utenti iscritti nel mondo) può essere utilizzata per organizzare un attacco. «Ma nella pratica i terroristi frammentano la comunicazione su più piattaforme, sappiamo che usano pure le app per rimorchiare», spiega al Corriere un funzionario dell’Intelligence belga. Rapetto concorda: «Si inizia mandando un sms, si risponde via email, poi si replica con WhatsApp o Telegram e si prosegue con la chat di un videogioco». «In questo modo – dice lo 007 di Bruxelles – diventa difficile comporre i pezzi della conversazione». O impossibile se l’obiettivo è distinguere l’estremista dal giocatore nel mezzo di un videogioco dove si spara e si uccide.