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 2015  novembre 28 Sabato calendario

In morte di Luca De Filippo

SELEZIONAXX


Osvaldo Guerrieri per La Stampa
«Luca metti il cappello», raccomandava sempre Eduardo a quel suo figlio un po’ svagato ogni volta che usciva. Luca De Filippo il cappello non lo metterà più. Un male tremendo lo ha ucciso in poche settimane mentre lui preparava la ripresa della commedia Non ti pago, che avrebbe dovuto portare al Carignano di Torino a marzo («Lascia un vuoto incolmabile nel teatro italiano e nella cultura del Paese», dicono presidente Lamberto Vallarino Gancia e direttore Filippo Fonsatti dello Stabile).
Luca è morto a 67 anni ed è come se, con lui, avessimo perso anche l’ultima costola di Eduardo. Dal 1984, da quando Eduardo se ne è andato, Luca ne ha coltivato la memoria e il repertorio con quella prudenza nelle scelte che era parte essenziale del suo carattere. Luca «era» Eduardo. Aveva finito per somigliargli anche fisicamente. Lui, un tempo così atletico, aveva preso la faccia scavata e spigolosa, lo sguardo febbrile e tagliente, i silenzi, i famosi silenzi che parlavano.
Ma Luca non usava suo padre. Non lo ha mai fatto. Al contrario lo viveva e lo riviveva. Da piccolo lo aveva conosciuto poco. Eduardo era sempre in tournée e lui, Luca, a Roma lo aspettava. Soprattutto aspettava l’estate, quando la famiglia sarebbe partita verso una delle tre isole dei Galli di fronte a Positano dove Eduardo si riposava, scriveva, intratteneva i pochi ospiti in un teatrino che si era costruito e tentava con pessimi risultati di farsi il vino in casa.
Indimenticabili quei mesi di libertà zingaresca tra mare e scogli. Eduardo concedeva a quel suo bambino il privilegio di restare nella stanza in cui lui scriveva e di giocargli tra i piedi come un gatto. Poi arriva l’anno della maturità classica e Luca si sente domandare: «Perché non provi? Solo per un anno».
Il debutto a sette anni
Non aveva mai pensato di fare l’attore. È vero, a sette anni era stato Peppinello nella commedia di suo nonno Eduardo Scarpetta Miseria e nobiltà, ma rinnovare quel lontano gioco e trasformarlo in professione era davvero possibile?
Luca ci provò. E affinché nessuno lo considerasse un figlio di papà decise di chiamarsi Luca Della Porta ed entrò nella compagnia di Eduardo per recitare in teatro o in tv Filumena Marturano, Napoli milionaria, Sabato domenica e lunedì, Le voci di dentro. Nell’84, quando Eduardo morì, Luca recitava in Chi è cchiù felice ‘e me. La notizia lo raggiunse all’intervallo. Concluse lo spettacolo, parlò con i suoi attori e corse a Roma.
Da quando Eduardo si era ritirato Luca aveva costituito una propria compagnia e con questa consegnava al pubblico spettacoli per lo più eduardiani, curatissimi nella realizzazione e nell’interpretazione. Ma Luca non voleva passare per un clone di Eduardo, perciò si rivolse anche ad altri autori: Vincenzo Cerami (La casa al mare), Samuel Beckett (Aspettando Godot), arrivò a farsi dirigere da una regista lontana da lui (Andrée Ruth Shammah) nell’Amante di Harold Pinter.
Era inquieto. Inquieto e prudente. Usava prudenza innanzi tutto con se stesso, poi con i tanti che gli chiedevano il permesso di rappresentare le opere del padre. Voleva che le cose fossero fatte bene e si rendessero «necessarie». Nell’amministrare questo bene prezioso cercava di non staccarsi dai principi artistici e civili che Eduardo gli aveva inculcato poco per volta, senza darlo a vedere. Gli era sempre stato grato della lezione. Gli rimproverava soltanto una cosa: di non avergli mai detto «Bravo!».
E bravo, Luca, è stato davvero: un artista appartato e sincero, un attore di tradizione superba che adesso, con la brusca scomparsa, tronca un ramo di una famiglia d’arte lunga tre generazioni e padrona del cuore di tanti.

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Maurizio Porro per il Corriere della Sera
Velocissimo. Il tempo di un intervallo tra un atto e l’altro, di un cambio di scena. Luca De Filippo è morto ieri nella sua casa romana, a 67 anni, ma 20 giorni fa era in scena in Non ti pago , tre atti comicissimi, come si diceva una volta, del padre Eduardo. A Milano lo sostituì Imparato: Luca aveva mal di schiena, ma invece era un tumore al cervello che ha decretato il The End in una decina di giorni. 
Se ne va così uno degli ultimi grandi eredi di questa dinastia d’arte iniziata dal nonno Scarpetta, dal celebre papà, dalla zia Titina e zio Peppino: ci sono il cugino Luigi, gli eredi artistici come Servillo e Giuffrè. Nato a Napoli il 3 giugno 1948, Luca aveva fatto la gavetta in famiglia, a 7 anni Eduardo se lo portò in scena come Peppiniello, il ragazzino di Miseria e nobiltà . Quando riusciva a scrivergli due battute da bambino, Eduardo lo infilava dentro le sue commedie, intanto respirava l’aria di palcoscenico prima di diplomarsi al liceo scientifico e debuttare a 20 anni nel Figlio di Pulcinella . Da allora una carriera senza soste coi classici paterni che, dopo la morte di Eduardo il 31 ottobre 1984 (saputa in un intervallo al Diana di Napoli), dirigerà in prima persona, dall’81 capocomico, con quella fedeltà che esigeva dai colleghi cui concedeva i diritti. 
Eduardo lo allevò e l’apprezzò, Luca fu con lui nell’ultima tournée di Sik Sik , ma sostiene che non gli disse mai: bravo. Non a parole almeno. Così, tutte le storie di ieri e oggi, della Napoli milionaria! , di Questi fantasmi , del Sindaco del rione Sanità , gli irresistibili teatranti di Uomo e galantuomo , Le bugie con le gambe lunghe e il ragù con pummarola e gelosia di Sabato, domenica e lunedì con la Loren e regia dell’amica Wertmüller. 
Distinto, amato, riservato, a Milano andava al Piccolo o al Parenti dalla sua amica Andrée Shammah (che lo piange sconsolata) che lo diresse in L’amante di Pinter con la Galiena e dove recitò Resistè di Montanelli. Non comico come il padre e lo zio, Luca aveva l’intensità drammatica, la consapevolezza esistenziale e la misura di un’altra generazione che rivisitava i classici senza cambiare una virgola né un’espressione, scovandone da rabdomante l’attualità tragicomica e trovando nella somiglianza del viso quella dei pensieri: La grande magia , la trilogia allestita da Francesco Rosi, papà di Carolina, da tempo sua compagna: Napoli milionaria! , Le voci di dentro , Filumena Marturano con la Sastri. 
Curioso di vita e di teatro in un’altalena costante che è stata la sua forza e vitamina artistica, Luca ha interpretato pure i francesi, dal Tartufo al Don Giovanni di Molière al sempre atteso Godot beckettiano passando per Feydeau e Serreau; ha allestito Cerami ( La casa al mare ) e un Rossini, omaggiato papà con le note di Piovani, recitato Il suicida di Erdman, Il berretto a sonagli e diretto Orsini nel Piacere dell’onestà pirandelliano e L’arte della commedia , summit del confronto tra realtà e finzione. E naturalmente si è concesso alle farse del nonno Scarpetta macchine di risate senza tempo, ’O scarfalietto , Cani e gatti e ‘Na santarella . Molta tv quasi sempre legata al teatro (ma anche Uscita di emergenza di Santanelli), poco cinema, due padri delusi di mezza età, regie di Muccino e Castellitto. L’unica eccentricità è che nei tempi morti in camerino si distendeva lavorando a maglia: di certo Eduardo avrebbe sorriso e l’avrebbe messo in una sua commedia. 
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Anna Bandettini per la Repubblica
Da oltre un anno insisteva per fare, tra i lavori di suo padre, il grande Eduardo, Non ti pago, commedia amara che parla di avidità, denaro, egoismo. Finalmente c’era riuscito. Aveva debuttato a Napoli un mese fa. Poi la schiena aveva cominciato a tormentarlo, per il dolore diventava ogni giorno un po’ più curvo, il viso più sofferto e non ce l’ha più fatta a stare in scena. Al Piccolo a metà novembre lui non c’era. Era andato in ospedale, ma quando lo hanno portato a casa in tanti hanno capito che quello era un addio. Luca De Filippo è morto ieri a 67 anni per un tumore che se l’è portato via in poche settimane nella sua casa romana, dove viveva con la moglie, l’attrice Carolina Rosi che lo scorso gennaio ha già perso il padre, il regista Francesco Rosi. I suoi ultimi pensieri sono stati per la sua compagnia, «che vada avanti», ha chiesto a Natalia Di Iorio, la sua collaboratrice.
Pochissimi come Luca De Filippo hanno dimostrato quanto il teatro può essere un luogo dove personale e pubblico, passato e presente si legano con generosità, intelligenza, verità. Attore e regista, non è stato solo un bravo protagonista della scena italiana, ma un artista che ha portato senza stanchezza sulle spalle il peso enorme della memoria di un padre gigantesco come Eduardo De Filippo. Una storia intima, prima che pubblica, molto bella la loro, di amore, lutto, solitudine, teatro e vita. Luca era bambino quando muore prima la sorella Luisella, poi la madre Thea Prandi. Restano soli, lui 12 anni, Eduardo un padre già anziano, famoso, ruvido. «Se fu triste? Tutt’altro, fu una convivenza gradevole la nostra - aveva raccontato in una intervista - Mio padre era simpatico, quando voleva era un umorista. Sia chiaro la nostra vita erafatta anche di lunghi silenzi, ma non era necessario intrattenersi. E poi c’era il teatro». Eduardo lo aveva fatto recitare a 7 anni, nel ’55, in Miseria e nobiltà del padre Edoardo Scarpetta nella parte di Peppeniello. «Poi quando finii il liceo negli anni Settanta, mi disse prova a fare teatro per un anno. Alla fine ho continuato. Forse per restargli vicino. Mio padre aveva già 70anni». Hanno lavorato insieme dal ’69 all’80, e quando nell’81 Luca fondò la sua compagnia, Eduardo firmava le regie: Sabato, domenica e lunedì, Filumena Marturano, Napoli milionaria!, Il sindaco del rione Sanità, Uomo e galantuomo, Natale in casa Cupiello....
«La morte di Eduardo nell’84 - ha detto Luca - per me è stata la morte di un padre, qualcosa di molto doloroso. Ma al tempo stesso, non c’è mai stato un distacco totale. È come se una parte di lui fosse rimasta dentro di me. Dal punto di vista professionale, invece, la sua scomparsa ha aperto un percorso di crescita per me, ma senza rincorrere risultati. Da mio padre ho imparato che è meglio essere seri». Così seri che i primi anni di carriera si fa chiamare Luca Della Porta, per non fare il “figlio di”. «Dovevo dimostrare di meritarmi il nome che portavo. Perché non c’è solo Eduardo. Faccio parte di una famiglia che fa teatro da tre generazioni, Edoardo Scarpetta, Titina, Peppino... L’orgoglio del mio nome è più largo». Il merito di Luca, che ha fatto anche teatro contemporaneo ( La casa al mare di Vincenzo Cerami, Aspettando Godot di Beckett, con Anna Galiena
L’amante di Pinter, regia di Andrée Ruth Shammah) è di aver tenuto in vita quella tradizione teatrale in modo organico, con onestà e curiosità, capendone il carattere innovativo, nei lati démodé o ingenui come nelle motivazioni civili: Luca, per esempio, si è speso per realizzare il progetto di Eduardo coi ragazzi del carcere minorile di Nisida a Napoli.
La sua compagnia gli ha reso l’omaggio forse più bello, continuando a recitare: Gianfelice Imparato che ha preso il suo ruolo, Antonella Cioli, Viola Forestiero, Nicola Di Pinto e tutti gli altri, grati per la serietà con cui è stato un capocomico. Misurato anche nella non facile gestione dell’eredità dei testi paterni, affidati anche ad artisti che andavano in direzioni diverse dalle sue: Toni Servillo che ha avuto con Eduardo successi internazionali, o Antonio Latella la cui passione sperimentale era lontana dal teatro di Luca. Ora quell’eredità potrebbe passare ai figli, Matteo avuto dalla prima moglie, Tommaso e Luisa dalla seconda compagna. Ma, curiosamente, nella quarta generazione dei De Filippo nessuno fa teatro.

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Enrico Fierro per il Fatto Quotidiano

È morto Luca De Filippo. Un male fulminante lo ha ucciso ieri all’età di 67 anni. È scomparso un grande interprete, regista e animatore del teatro italiano, soprattutto di quella tradizione che affonda le radici nella storia di Eduardo Scarpetta, suo nonno, e del padre Eduardo De Filippo. “Tummasì, te piace ‘o presebbio?”. “Nun me piace…”. Il grande pubblico, che ha sicuramente visto in tv Natale in casa Cupiello, lo ricorda dare anima, volto e cattiveria, a Nennillo, il figlio sbagliato dello sfortunato Luca Cupiello. Quello che dormiva fino a tardi rannicchiandosi nelle coperte per vincere il freddo del basso e pretendeva “’a zuppa, si no nun mi soso”.

Luca De Filippo ha portato il teatro del padre nel mondo, lo ha tenuto vivo, riuscendo a rinnovarlo senza stravolgerlo. Ma non è stato solo questo. Sulla scena ha rappresentato autori come Molière, Pinter, Beckett, Pirandello. È stato anche attore di cinema e tv con registi come Lina Wertmüller e Pasquale Squitieri. Più che uomo di teatro, Luca De Filippo era figlio del teatro. E non solo per quel padre e per le radici solide della sua famiglia, da generazioni piantate sulle tavole di un palcoscenico. “Sono orgoglioso della mia famiglia che fa teatro da tre generazioni”, gli piaceva dire. L’esordio sul palco a soli sette anni, nel 1955, Un parte minore, quella di Peppeniello in Miseria e nobiltà. Poche battute per il battesimo di una carriera che durerà sessant’anni.

In tanti nel corso della vita di Luca De Filippo si sono esercitati nell’analizzare il rapporto del figlio con un padre vero e proprio monumento del teatro. Hanno scomodato Freud e compagnia. Come risposta hanno avuto la semplicità di Luca. “Con Eduardo (così, chiamava il padre, col nome che usavano tutti, ndr) abbiamo avuto le nostre litigate. Ma averlo avuto accanto è stato un privilegio di cui sono orgoglioso”. Non c’erano complessi, Edipo poteva dormire sonni tranquilli, solo l’amore e la venerazione di un padre che è stato “il” palcoscenico, la commedia. “Faccio teatro – diceva quando lo stuzzicavano sul rapporto col padre – perché mi piace, non perché devo dimostrare qualcosa. Non ho né il desiderio, né la presunzione di poter competere con un artista grandissimo come Eduardo”. Il grande attore e commediografo napoletano era un personaggio difficile. Spigoloso, dittatoriale. Così spesso lo descrive chi ha lavorato con lui. Ma nel rapporto con quel figlio avuto in tarda età seppe dimostrare inaspettate tenerezze.

Quando nel 1983 Luca debuttò per la prima volta a Milano con la sua compagnia, Eduardo gli fece una sorpresa. Alla fine della rappresentazione volle salire sul palco. E fu sommerso dall’affetto del pubblico e dagli applausi. Fece un inchino e…”Mi scuso per averli rubati a mio figlio. Ma da stasera, vi prego, ditegli sempre di sì”. Applausi e affetto del pubblico diventarono in quel momento più forti.

Sarà possibile rendere l’ultimo omaggio a Luca De Filippo lunedì al Teatro Argentina a Roma, dalla 14 alle 18. Mentre a Napoli, il sindaco Luigi de Magistris, ha proclamato il lutto cittadino. Scompare un grande del teatro italiano, “erede di terza generazione di una famiglia che ha fatto la storia del teatro italiano e, nella figura di Eduardo, del teatro mondiale”, scrive la famiglia. Per chi crede nell’aldilà sarà bello immaginare Eduardo e Luca di nuovo insieme. “Tummasì te piace ‘o presebbio?”. Forse, questa volta, Luca-Tommasino risponderà con sì, “me piace”. E padre e figlio si abbracceranno.