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 2015  novembre 27 Venerdì calendario

Giovanna D’Arco, la tredicenne analfabeta che, in nome della religione, si fece uomo e si batté per liberare la Francia

Tra le donne uscite dall’anonimato al quale l’appartenenza di genere le ha condannate per millenni, Giovanna d’Arco è una delle più difficili da decifrare. Ad accomunarla alle altre il cui nome ha superato il muro dell’oblio sta certamente, per cominciare, il suo rifiuto di svolgere il ruolo al quale il suo sesso la destinava “per natura”: figlia obbediente (superfluo a dirsi vergine) fino al matrimonio e quindi moglie, custode della casa e madre devota. Ma Giovanna a questo di per sé imperdonabile rifiuto aggiunse altre trasgressioni. In primo luogo, e non è poco, quella di assumere il ruolo della combattente, risalente alla tradizione mitica delle vergini guerriere identificate dai greci con le Amazzoni, che in verità vergini non erano affatto: degli uomini che catturavano, infatti, prima di ucciderli si servivano per riprodursi. Un dettaglio, va detto, tutt’altro che secondario, che stava a significare la crudeltà e il pericolo rappresentato da donne che impugnando le armi sconvolgevano la regola fondamentale della diversità dei sessi. Vergini come Giovanna, invece, erano le cosiddette amazzoni italiche: Clelia, per esempio, che durante la lotta contro gli Etruschi si era eroicamente battuta capeggiando le altre compagne come un vero e proprio dux; o Camilla, la vergine intemerata che nella lotta contro Enea combatté come un uomo, e che per questo verrà paragonata a Giovanna d’Arco da Pio II Piccolomini. Le vergini italiche combattevano per difendere la libertà e i valori del loro gruppo di appartenenza, esattamente come Giovanna per la Francia. Ma, al di là di questo, Giovanna resta comunque una vergine guerriera speciale: a differenza delle altre non comanda una truppa di sole donne. Comanda e conduce alla vittoria un esercito di uomini. Un’impresa che, passando dal mito alla storia, altre donne (anche se non molte) hanno realmente compiuto: difficile, in questi giorni, non pensare a Zenobia, la regina di Palmira – la città Patrimonio dell’Umanità devastata dall’Isis – che comandava il proprio esercito con il capo coperto dal casco, impartendo ordini con voce ferma e virile, compiendo marce di giorni e giorni nel deserto. Ma, di nuovo, Giovanna era diversa dalle altre donne combattenti: a chiamarla alla guerra – diceva – era il volere del suo dio, per non rinnegare il quale era morta: una martire, dunque? A leggere così la sua vita e la sua morte sono stati e sono molti. Secondo altri invece era una strega, un personaggio del demonio, un’impostora e un’eretica. Non è facile orientarsi tra immagini così diverse e inconciliabili e tra informazioni incerte e contraddittorie come sono quelle sulla sua vita, che comunque è giocoforza tentare di sintetizzare.
Contro gli usurpatori inglesi. La data di nascita è il 1412. Il luogo a Domrémy, un paese come tanti nella parte nord orientale del territorio francese. La famiglia, contrariamente a quanto spesso si dice, non era poverissima: il padre era un personaggio in vista della comunità, al quale non mancavano i mezzi per mantenere più che dignitosamente la famiglia. Presumibilmente, quindi, i primi anni della vita di Jeanne furono tranquilli, o quantomeno non turbati da eventi particolarmente negativi. Jeanne era obbediente, dotata di un fortissimo sentimento religioso e devotissima ai dettami della Chiesa. Nulla, insomma, faceva presagire un futuro diverso da quella di qualunque giovane donna della sua età. Sino al momento in cui, nell’estate del 1425, all’età di tredici anni non cominciò a sentire delle “voci”. In particolare quella dell’arcangelo Michele, che le diceva che era suo compito e destino restituire alla Francia i territori sul continente in quel momento nelle mani degli usurpatori inglesi. Era in corso, in quegli anni, la cosiddetta guerra dei Cent’Anni (durata, in realtà, dal 1337 al 1439), scoppiata per un conflitto dinastico, quando a Carlo IV di Francia, morto senza discendenti maschi, era succeduto suo nipote Edoardo III d’Inghilterra. E per quanto incredibile possa sembrare la storia di Giovanna si inserì nelle lunghe e complesse vicende che ne seguirono, aprendo una breve parentesi durante la quale parve che il sogno di cacciare con la forza gli inglesi potesse diventare realtà.
A capo delle truppe. Spronata dalle voci che la incitavano a liberare la città di Orléans, da tempo sotto assedio dagli inglesi, Giovanna decise infatti di farlo. Inutile dire che l’idea aveva dell’incredibile. Giovanna era completamente analfabeta, non aveva relazioni, non aveva pratica di mondo: eppure riuscì a entrare in contatto con il mondo dei potenti. All’epoca, va detto, le donne che profetavano non erano né una novità né un’eccezione (in Italia, per limitarci a due, basterà ricordare Caterina da Siena e Margherita da Cortona), e a volte tentavano di trattare con papi e regnanti, che comprensibilmente cercavano di evitarle. Ma Giovanna superò ogni sbarramento. Dopo aver rifiutato il matrimonio che il padre voleva imporle e aver rotto con la famiglia, grazie a un indiscutibile fortissimo carisma personale riuscì a trovare interlocutori grazie ai quali all’età di sedici anni, vestita negli abiti maschili che non avrebbe più dismesso, raggiunse a dorso di un cavallo (che nessuno le aveva mai insegnato a cavalcare) il castello di Chinon, dove soggiornava il ventiseienne delfino Carlo di Valois, che dopo varie perplessità decise di fidarsi di lei e delle sue voci: perchè invaghitosene, dicono alcuni; perchè in mancanza di speranze concrete era ridotto ad aggrapparsi a chiunque gli offrisse un aiuto, dicono altri: forse per le due cose combinate... Come che sia stato, comunque, a Giovanna venne concesso di condurre di fatto le truppe che mossero verso Orléans. Indossata l’armatura che si era fatta costruire, Giovanna, fornita di stendardo e insegne, partì verso la città da tempo assediata dagli inglesi, e l’8 di maggio, a pochi giorni dal suo arrivo, la città era libera: gli inglesi avevano tolto l’assedio. Un’ulteriore vittoria a Patay sulle armate inglesi il 18 maggio decretò il suo trionfo. Ma la gratitudine, si sa, non è qualità che tutti posseggono: Carlo, che grazie a lei era stato incoronato con il nome di Carlo VII, per ambizione mista a insicurezza iniziò a trattare con gli inglesi. Giovanna intanto continuava a incitare alla lotta, e nonostante l’isolamento continuò a combattere sino a quando il 23 maggio del 1430, nei pressi di Compiègne, venne fatta prigioniera dei Borgognoni, alleati degli inglesi, che la vendettero a questi per 10 mila scudi d’oro.
Carlo VII non mosse un dito per salvarla, e nel 1431 Giovanna comparve davanti al tribunale ecclesiastico, chiaramente asservito agli inglesi, che volevano la sua condanna come eretica, con conseguente distruzione della sua immagine eroica. Troppo lungo sarebbe seguire le tappe del processo, durante il quale le venne ripetutamente chiesto di rinnegare le sue apparizioni, cosa che Giovanna rifiutò. A un certo punto comparve un documento che avrebbe dovuto mostrare che lo aveva fatto, ma Giovanna negò la sua validità. Intanto, al termine degli estenuanti interrogatori, i capi d’accusa basati sulle sue risposte erano diventati 72. La sentenza era scontata: dichiarata un’eretica, il 30 maggio del 1431 fu condotta sulla piazza del Vieux Marché di Rouen e data alle fiamme.
Un mito che aleggia. Ma le ragioni della politica, che avevano determinato la sua condanna, erano destinare a giocare un ruolo anche dopo la sua morte. La condanna di Giovanna, infatti, cominciò a essere un problema per Carlo VII, che doveva a lei la sua consacrazione. La fama di eretica della Pulzellai poteva gettare delle ombre sulla sua autorità regale. Una revisione del processo non era solo utile ma necessaria. E revisione fu: nel 1452 ebbe inizio una nuova inchiesta ecclesiastica, in base ai cui risultati nel 1456 papa Callisto ordinò la riapertura del processo, che (questa volta sulla base di una accurata documentazione) terminò con la riabilitazione di Giovanna, successivamente beatificata nel 1909 da Pio X e nel 1920 canonizzata da Benedetto XV.
Sin qui, quel che è possibile ricostruire sul piano della storia. Ma Giovanna, al tempo della sua morte, era già un mito. Si diceva che nel momento in cui era spirata una colomba bianca si fosse innalzata dal fumo del rogo, e che tra le sue ceneri il carnefice avesse trovato il suo cuore, intatto, che niente e nessuno era riuscito a incenerire.
 Subito celebrato dai poeti (Christian de Pizan, che nel 1429 le dedicò un poemetto, e Francois Villon nella Ballade des dames du temps jadis), il mito di Giovanna è oggi fisicamente rappresentato, nelle strade di Francia, dalle innumerevoli statue che in  tutto il paese la rappresentano: splendida e celebre, tra tutte, quella equestre eretta nel 1874 a Parigi sulla place des Pyramides, accanto al Louvre. E via via, nel corso dei secoli, la leggenda è stata alimentata da musicisti come Verdi, da drammaturghi come Brecht (1929- 1930), da registi come Theodor Dreyer (nel 1928) e Roberto Rossellini (nel 1954). A impersonare Jeanne sono state attrici indimenticabili come Renee Falconetti nel film di Dreher, Ingrid Bergman in quello di Rossellini, e da Sandrine Bonnair nel 1994, in quello di Jacques Rivette.
Il disprezzo di Voltaire. Naturalmente, la complessità del personaggio ha fatto sì che vi sia stato anche chi ha dato di Giovanna rappresentazioni diverse, non sempre favorevoli: tra queste, notissima, quella di Voltaire, che ne che ne ridicolizzò e volgarizzò il personaggio. Lo abbiamo detto in apertura: Giovanna non è facilmente classificabile: non a caso di lei hanno tentato di impossessarsi tutti, i cattolici e i laici, la sinistra e la destra, inclusa quella estrema del Front Nazionale. Ma al di là dei tentativi strumentali e delle ideologie, quel che è certo è che Giovanna morì per coerenza con le sue idee e per difendere la sua libertà di pensiero. Ecco perché, come tutti i miti, è fuori del tempo.