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 2015  novembre 27 Venerdì calendario

Confessioni di Hamilton, la rockstar della F.1

Dobbiamo essere tutti delle rockstar. Nel senso di un’eccellenza da raggiungere, qualunque sia il settore in cui operiamo. È il nuovo motto di Lewis Hamilton, il tri-campione della F1 che a conclusione di un Mondiale stravinto con le (quasi) imbattibili Mercedes ha accettato di raccontare se stesso: il pilota insaziabile e dall’ironia feroce verso Rosberg, il compagno di squadra; il cittadino del mondo, deluso dai tempi grami in cui viviamo; il protagonista che ha pigiato il pulsante «discovery» per dare una fisionomia al suo futuro. L’uomo di 30 anni, soprattutto. Così diverso, ma forse non troppo, dal ragazzo incontrato tempo fa.
Lewis Hamilton, ci racconta i suoi tre titoli iridati?
«Il primo ha le radici nel 2007: avevo imparato a misurarmi con un compagno quale Alonso e ad affrontare situazioni dure. Nel 2008 tante forze negative hanno provato a modificare l’esito del campionato e l’ultima gara è stata un alternarsi di situazioni: ero nella posizione giusta, ero fuori dai giochi, ero di nuovo in corsa. A cinque giri dalla fine avevo perso la speranza e quando mi sono ritrovato campione ero talmente scombussolato da non gustare il trionfo. Il 2014 è stato il titolo della grande rimonta dopo un avvio difficile, mentre in questo 2015 sono stato, semplicemente, troppo forte per tutti».
Che cosa le manca ancora come pilota?
«Forse potrò aggiungere qualcosa sul piano mentale e della tenuta fisica. Nessuna novità, invece, sul fronte della guida: lo stile è il frutto di un accumulo di esperienze ed è in costante evoluzione».
Jackie Stewart dice che lei non è ancora tra i grandi dello sport: le dà fastidio?
«No, ha zero rilevanza».
Lei disse a suo tempo: “Uno dei miei pregi è non trattare male il prossimo”. Sicuro che Rosberg sia d’accordo?
«In giro vedo tante sportive (sì, l’ha detto proprio così, al femminile ndr)che quando perdono cambiano modo di essere: ecco, spesso Nico fa così. Prima di tutto ci tengo a dire che ad Austin non ho mai pensato di buttarlo fuori…».
Veramente?
«Voi sapete da dove vengo? Vengo dal nulla. Io e mio padre ci siamo fatti un mazzo così. E se sono qui non è per dire “ehi, sono un bravo ragazzo” ( ndr: cambia tono e usa una vocina da adolescente). No, sono qui per prendermi tutto. Credete che un Tiger Woods o gli altri grandi del passato della F1 la vedano diversamente? No. Un campione, se può, deve stravincere: è come un tennista che insegue ogni punto».
Se fosse al posto di Rosberg, che cosa farebbe per battere Lewis Hamilton?
«Mah, Nico si è imposto nelle ultime due gare: non ho consigli da dargli; è molto migliorato rispetto ai giorni dei kart, quando non vinceva così tanto. Lavora sodo, è intelligente: avrà un futuro luminoso» (ndr: lo prende ancora per il naso? Fate voi…).
La Ferrari per il 2016 ha lanciato la sfida alla Mercedes.
«Spero che sia solida, sinceramente: una maggiore competizione farebbe solo bene allo spettacolo. Non so se la Ferrari ce la farà con le attuali regole, ma sta chiudendo il divario: sarà di sicuro forte. Ma io continuo a pensare di avere la miglior scuderia».
Il suo «set up interno» pare descrivere un Hamilton più freddo e rilassato.
«Di natura sono abbastanza rilassato. Adesso ho meno motivi di stress, però l’anno scorso la sfida è stata enorme: se sei staccato di due o tre vittorie, ogni problema apre una ferita. Ma in genere sono un tipo tranquillo: viaggi, messaggi, email, ragazze… Sì, ho tante cose di una persona normale».
In qualche modo, una vita da rockstar.
«Ma voi non vorreste esserlo? La vita di una rockstar è incredibile. Tutti noi cresciamo seguendo dei modelli, gente come Michael Jackson o i Beatles; tutti noi puntiamo al successo: anche un dirigente di banca può essere una rockstar, nel suo mondo. Io voglio essere la rockstar, cioè il migliore, dell’automobilismo».
Un po’ in Europa, un po’ in America, un po’ ovunque: Hamilton è diventato cittadino del mondo. Ma il mondo non sta impazzendo? Non ha timori dopo i fatti di Parigi?
«Rifiuto di convivere con la parola “paura”: significherebbe far vincere chi ci attacca. Amo questo mondo? Assolutamente no: peggiora di continuo. Ma non ne parlo troppo, non credo che importi ciò che penso. Spero che qualcosa cambi: per farlo, dobbiamo impegnarci tutti assieme».
L’uomo di oggi come vede la sua famiglia rispetto al ragazzo di un tempo?
«Allo stesso modo. Certo: è tutto diverso, sono cresciuto. Sono vecchio (ndr: risata). Ma sono sempre vicino ai miei cari e coltivo le relazioni che vanno migliorate».
È tempo di avere un figlio?
«Nooo, no way. Adesso mi sto divertendo troppo: giro come un matto, faccio fatica a curare i miei due cani e non avrei modo di seguire un figlio. Vedo Rosberg, da poco papà: una settimana è qui, poi torna, poi riparte; meglio pensarci quando avrò smesso».
Nel 2008 profetizzò che non avrebbe lasciato la McLaren e che non avrebbe corso per la Ferrari. A giudicare dai fatti, mai dire mai: i tifosi del Cavallino possono sperare?
«Non uso la parola mai, non mi piace. Forse sette anni fa dissi quelle cose per non rattristare quelli della McLaren. La Ferrari? La amo, sono cresciuto come un suo fan. Tanti mi chiedono “quando vieni?” e io la macchina rossa la guardo sempre, oltre a guidarne una da strada. Però le auto migliori di F1 le fa la Mercedes e mi è difficile pensare di non correre più per questo team».
Ron Dennis è ancora un riferimento per lei?
«Sì, ci siamo scambiati messaggi un paio di corse fa».
Si dice che lascerà presto la F1 per buttarsi nella musica.
«No, la musica no. Ma è vero che mi sono messo in “modalità scoperta”: devo identificare il prossimo obiettivo, come sportivo e come persona. Ci sono altri settori che mi appassionano, ad esempio la moda: punterò su qualcosa di creativo. Io sono super-creativo».
Chi paga per il crash di Montecarlo con la sua Pagani Zonda da due milioni di euro?
«Ho la kasko».