Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 26 Giovedì calendario

Buffon ormai sembra Zoff

Passate le cento partite in Champions League (è a 101), archiviati i vent’anni di calcio e gli auguri da tutti i continenti, Gigi Buffon – che ieri ha toccato le 100 presenze nelle coppe europee con la Juve ma dice pure di volersi «disintossicare da tutti questi cerimoniali» – si è regalato una parata che pare copiata con la carta carbone da quella con la quale Dino Zoff marchiò Italia-Brasile al Mondiale dell’82. Si usava ancora la carta carbone, a quei tempi, tempi che Gigi Buffon ha registrato come le prime immagini di calcio. «Serate interminabili, cene con tutta la famiglia. Durante la partita uscivo fuori o sul balcone a giocare». Magari era a farsi un giro sul balcone anche mentre Zoff bloccava proprio sulla riga il colpo di testa di Oscar che permise all’Italia di passare il turno.
«In quei Mondiali la partita più importante, al di là della finale, è stata col Brasile», è il ricordo di Zoff. «Una grande gara, tre gol di Paolo Rossi e per me una parata determinante negli ultimi minuti. Ho fermato in tuffo sulla linea quel colpo di testa. Sono stati momenti di apprensione, ma ero sicuro di aver fermato la palla sulla linea. Per tre o quattro secondi ho temuto che l’arbitro non avesse visto bene, poi mi sono tranquillizzato». Buffon contro Fernando, meno pathos e meno rischi, perché la qualificazione era in mano alla Juve e i momenti decisivi sono ancora lontani. Però quella parata è un altro segno, una traccia lasciata sulle pagine del calcio internazionale.
C’è ancora e sempre, Buffon, uno che da piccolo voleva fare il centrocampista. In questa stagione ha tentennato a volte in campionato, ma ha salvato anche tante situazioni, e in Champions è il punto fermo e lucente della Juve da esportazione. C’era nella scorsa stagione a Madrid, dove ha traghettato i suoi verso la finale di Berlino. «E ora non è che andiamo a fare i turisti». Spavaldo come sempre, come quando era «un bambino molto vivace», e poi un adolescente di talento, un giovane un po’ spaccone, un fuoriclasse che mette la faccia quando serve e anche quando dovrebbero mettercela gli altri. A Berlino è finita con le lacrime, soprattutto negli occhi dei più vecchi per i quali ogni sconfitta pesa il doppio. Ma Buffon è aggrappato con le sue manone a ogni possibilità, usa i guantoni da portiere come farebbe un pugile e quando c’è battaglia difficilmente affoga. Ieri era una di quelle serate, il segnale lo ha dato Allegri schierando Mandzukic e la squadra ha capito. Il City voleva il primo posto, la Juve pure, per tentare un’altra stagione da pazzi in Europa: «Dopo Barcellona e Bayern, c’è un gruppone di squadre in cui ci siamo anche noi».
Perché ci sono tante rivincite da prendersi. Il dominio in Italia è finito, un ciclo è finito. La Juve è lontana dallo scudetto molto più di quanto lo sia il Manchester City dalla testa della classifica inglese e sa che difficilmente potrà ripetersi. Pare difficile che possa ripetersi anche in Europa, ma Buffon mette le mani avanti: le ha messe contro Aguero e poi contro Fernando ricacciando a casa il City con zero punti in due partite. Ieri Buffon ha fatto un’altra parata alla Zoff e dice sempre di voler andare avanti come Zoff fino a quarant’anni. Tutto può capitare e capitare ancora.