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 2015  novembre 26 Giovedì calendario

I frati francescani truffati dal broker per 50 milioni di euro

C’era sempre «il signor Rossi» a risolvere le pratiche logistiche, le forniture necessarie o gli impicci materiali dei frati che andavano in missione religiosa nel Corno d’Africa. Ma è proprio grazie a questa fiducia, guadagnatasi agli occhi dell’Ordine dei Frati minori, che il 78enne Leonida Rossi – italiano di nascita, milanese di società con sede a due passi dal Tribunale in via Manara, kenyano di residenza estera, e svizzero per sedicente attività fiduciaria che prometteva interessi del 12% sui capitali affidatigli – è ora accusato di «impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita», ovvero frutto di «un ammanco in enti religiosi di almeno 49 milioni e mezzo di euro nel periodo 2007-2014». Lasciti, testamenti e donazioni alimentanti le casse della Provincia lombarda dei Frati minori francescani (per 23,5 milioni), della Conferenza dei ministri provinciali (3 milioni), e della Casa generalizia dell’Ordine disciplinato dalla regola del 1223 di papa Onorio III, presente in 110 Paesi, e organizzato in 99 Province, 8 Custodie autonome, 14 Custodie indipendenti e 20 Fondazioni, con al proprio vertice il soggetto giuridico autonomo Casa generalizia (detta anche Curia generale).
Ma già spuntano le fila di altri clienti enti religiosi, come nel caso di 680.000 euro che risultano essere stati affidati a Rossi nel 2010-2012 dall’Opera Don Bosco per le missioni.
Mentre ieri nel caso di Rossi sono finiti nel mirino degli inquirenti la sua società milanese Anycom srl, una villa in provincia di Como, una abitazione in Valle d’Aosta, i cantieri di un villaggio vacanze a Malindi in Kenya e il progetto di un hotel da costruire in Eritrea sul Mar Rosso, i pm milanesi Alessia Miele, Adriano Scudieri e Sergio Spadaro hanno indagato per «appropriazione indebita» tre frati: l’ex economo della Curia generale Giancarlo Lati, l’ex economo provinciale Renato Beretta, e l’ex economo della Conferenza, Clemente Moriggi: a far scoperchiare lo scandalo, infatti, è stata la trasparenza dei nuovi economo e rappresentante legale della Provincia lombarda, Marco Fossati e Giuseppe Maffeis, subentrati nel 2013 ai quasi tre lustri di gestione Beretta.
Già il passaggio di consegne li inquieta tra anomalie nella documentazione contabile, informazioni con il contagocce, e soprattutto fumose risposte attorno alla figura di uno strano soggetto: il «signor Rossi», presentato da frate Beretta come una persona di fiducia del suo scomparso predecessore frate «Ilarino» Valentino Mastaglia, e da tanti anni affidatario di lasciti e donazioni da gestire e far rendere con promesse del 12% di rendimenti.
La puzza di bruciato diventa arrosto appena i nuovi amministratori chiedono allora la restituzione dei capitali dell’Ordine secondo quanto attestato da improbabili rendiconti volanti dell’italo-svizzero: se frate Beretta risponde «in maniera contraddittoria ed evasiva», finendo per ammettere di «non poter consegnare ulteriore documentazione perché distrutta come da accordo con il signor Rossi», costui fa a sua volta il vago, dice di non essere in grado di ridare un quattrino neppure parzialmente, poi promette di iniziare una parziale restituzione «fra qualche mese», e alla fine butta lì ai frati l’offerta bizzarra della «intestazione» di un «mio hotel del valore commerciale di 70 milioni di euro» in Eritrea, in realtà investimento ancora sulla carta e comunque sconosciuto ai frati.
A questo punto i nuovi amministratori dell’Ordine, sviluppando quella che negli atti interni è definita «una franca riflessione collettiva sulle conseguenze morali e giuridiche della precedente gestione finanziaria, sul suo impatto sulla vita dei frati e sulle più corrette modalità di affrontare la vicenda», ingaggiano il penalista milanese Gianluigi Tizzoni per sporgere denuncia in febbraio alla Procura di Milano e in estate in Svizzera, dove il procuratore federale luganese John Noseda passa velocemente all’azione, ieri coordinandosi con i colleghi italiani.