Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 26 Giovedì calendario

«Gli ho dato tutti i soldi che avevo, ma hanno cominciato a minacciare mia figlia». Il ricordo del gioielliere di Rodano che ha ammazzato un rapinatore in casa

Rodolfo Corazzo porta un nuovo orologio, appena recuperato nel negozio di corso Venezia poiché tutti gli altri gli sono stati rubati nell’assalto alla sua villa di due piani; ai piedi, ha le prime scarpe che ha trovato; ha voglia di parlare, di ripetere, di difendersi; ha dormito un paio d’ore scarse. Come prima cosa, gli riportiamo il commento che passa di voce in voce: ha fatto bene; di più, è un eroe.
Corazzo, si sente un eroe?
«Io mi sento un p..., io non volevo. Non volevo. Ma eravamo arrivati a un punto... Avevo quattromila euro in tasca, l’incasso di giornata, e glieli ho dati. Hanno preso gli anelli e i gioielli di mia moglie. Ho aperto la cassaforte e il caveau. Hanno trovato le pistole che colleziono: prese. Non bastava. Minacciavano mia figlia, undici anni».
Che cosa le hanno detto?
«Che se suo padre non avesse tirato fuori i soldi, le avrebbero tagliato le dita e poi ci avrebbero aperto a tutti quanti».
Come ha reagito sua figlia?
«Ha già una grande forza. Le ho detto: rimani tranquilla».
E poi ha sparato?
«Credo sia meglio cominciare dall’inizio. I banditi sono stati in casa un’ora e venti. Io sono tornato dal lavoro in scooter, ho aperto il cancello elettrico, non ho guardato dietro per vedere se si chiudeva. Un errore: mi sarei accolto della presenza dei banditi. Mi seguivano. Ho percorso la rampa in discesa e parcheggiato nel garage il motorino. Erano lì. Volevano legarmi le mani. Gli ho consigliato di non farlo, avrei obbedito lo stesso agli ordini».
Ci dica dei banditi.
«All’inizio calmi. In particolare la persona morta, il capo».
Ha sentito che Frrokaj era un assassino ergastolano?
«Lo so adesso da voi».
Questa notizia cambia il suo stato d’animo?
«Ribadisco: non volevo ucciderlo».
Con quale pistola ha sparato?
«La mia Glock».
Non l’hanno perquisita?
«Con il lavoro che faccio, giro armato. Ho porto e detenzione, tutto regolare. Uno mi ha tastato sotto la giacca, alla ricerca di armi, con le mani che hanno percorso i fianchi. Ma io, girando in scooter e facendo molto freddo, indosso un giaccone pesante, voluminoso. L’arma stava lì, in alto a sinistra, leggermente all’interno».
Quand’è nata la sparatoria?
«Insistevano nel pretendere altro denaro, che ribadisco non c’era. Ci hanno spinti in soggiorno con l’invito a parlare tra di noi, e deciderci a confessare l’inesistente nascondiglio dei soldi. Quando hanno chiuso la porta, ho estratto la pistola, ho nascosto moglie e bimba dietro il divano. Un bandito ha aperto la porta e mi ha trovato che gli puntavo l’arma addosso. Alle spalle aveva un complice. Sono corsi giù per le scale, verso il garage. Ho sparato contro il muro, per convincerli ad andarsene».
Non ci è riuscito.
«Dall’angolo della scala, in due hanno messo fuori le armi e hanno fatto fuoco. Sentivo i proiettili che mi sibilavano intorno. Mi sono sporto a mia volta. Ho esploso un colpo. I banditi non riuscivano ad aprire il basculante del garage. Hanno pensato di risalire in casa. Me li sono visti venire addosso, ho sparato ancora. Un bandito è stato colpito. Gli altri hanno preso la nostra 500 Abarth, hanno abbattuto il basculante e sono scappati a piedi».
Corazzo, probabilmente la indagheranno.
«Spero di no».
Lei è appassionato di arti marziali, si esercita in palestra con lunghe sedute.
«Provo solo a tenermi in forma e recentemente non ci riesco neanche. Di sicuro non mi alleno nell’attesa di un attacco dei malviventi, ecco».
Aveva già subito furti?
«Anni fa, in negozio».
Chi ha avvisato il 118?
«Io. Sono uscito, una vicina di casa mi ha indicato quell’uomo... Gemeva, all’esterno del garage. È arrivato anche un amico che abita nei dintorni».
Qualcuno ha pensato di soccorrere il bandito?
«Stava già morendo, non c’era più nulla da fare, i dottori hanno constatato il decesso. L’amico aveva una mazza da baseball, voleva lanciarsi nel garage, casomai ci fossero altri banditi. L’ho fermato».
Perché?
«Perché era pericoloso. Perché rischiava la vita».