Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 22 Domenica calendario

I musulmani d’Italia in piazza per protestare contro l’Isis: pochi e ambigui. Eppure importanti

Non siamo il nemico. L’uomo ha un berretto calcato sulla nuca e si protegge dalla pioggia sotto un bizzarro ombrello colorato. Quando è arrivato in Italia, dal Maghreb, faticava sulle spiagge.
Ambulante, allora li chiamavano con indolente disprezzo «vu cumprà». Lavoro duro, sacrifici, famiglia, intelligenza, oggi è un piccolo imprenditore, i suoi figli professionisti. Appoggiato a uno dei muri antichi di piazza Santi Apostoli a Roma, nell’angolo che ospita Passato e Presente della capitale, il Milite Ignoto 15-18, il balcone fatidico del Duce, Botteghe Oscure e piazza del Gesù con i fantasmi di Pci e Dc, casa di Berlusconi, il signore anziano ascolta i discorsi alla manifestazione della comunità musulmana contro il terrorismo, dopo i massacri a Parigi e in Mali. Si chiama #notinmyname, con il cancelletto di twitter e l’inglese ubiquo, che serve a arabi, italiani, a denunciare stragi in due capitali dove si parla francese, così va la guerra globale. I manifestanti son pochi, un cronista che su questa piazza ha contato comizi dalla Prima Repubblica al turbolento 1977, li stima in trecento con i loro dolenti striscioni «Noi non siamo il nemico», le poche famiglie, gli intellettuali, le autorità religiose e gli imam. Altrettanti sembrano i cronisti con i capelli bianchi e il taccuino in mano, e i journos under 30 dei new media, che al bar tagliano e cuciono al Mac immagini e audio. Forse però, calcolare il successo di una piazza politica dal numero dei partecipanti è egualmente «old media» di un quaderno zuppo di pioggia, che stinge inchiostro della stilo.
Leader in piazza
Karima Moual, giornalista e blogger nata in Marocco, che dal suo sito Zmagria e dal Sole 24 ore, segue l’Islam italiano, è soddisfatta «Ci sono leader di comunità e questo conta». Isis detesterebbe infatti questi pochi, intirizziti dimostranti, i discorsi che recitano dal piccolo palco, i cliché un po’ frusti dei politici, le citazioni del presidente Mattarella, dei presidenti Grasso e Boldrini, replicati come litanie. Sul selciato si accalcano, sotto gli ombrelli, i veterani della Palestina Rossa, gli anarchici, i sindacalisti, militanti persuasi che «per battere Isis si deve battere la lobby delle armi», anche se i Kalashnikov di Parigi erano in vendita a Bruxelles per 400 euro, ora la polizia ha alzato la guardia sul mercato e il cartellino va a 2000 euro. Una sinistra retrò, che per una volta, quando vanno a parlare i nemici di sempre, Casini e Cicchitto, non ulula disprezzo, un solo fischio per testimonianza, poi si ascolta malmostosi senza urla.
Dura realtà della guerra
Non contiamo dunque le scarpe fradice d’acqua, i selfie scattati a iosa, i canti «Pace Pace» per valutare questo incontro. Altro conta dopo la lezione che ci ha impartito Isis, quella che lo scrittore russo Grossman chiamava «la dura realtà della guerra». Femministe del 1968 e massaie che non se la prendono troppo se in Arabia Saudita le donne non possono guidare, autonomi che odiano Renzi ed ex di Forza Italia, commercianti e maestrini della decrescita felice, tutti in un fazzoletto di Roma storica. Divisi su tutto, incerti su molto, lontani per religione, cultura, storie e tic, ma, per un’ora sola, insieme perché la loro diversità estrema è comunque uguaglianza davanti alla Morte, la politica di Isis. Dovrei raccontarvi che a Roma erano pochi, troppo prudenti, non bene informati, abbastanza retorici, screziati di opportunismi, ricchi di contraddizioni. Bastava graffiare i patinati buoni sentimenti, con una domanda aguzza su America, Israele, il Papa, le donne, Bush, l’11 settembre, e opinioni infelici, ignoranze radicate, opportunismi furbi, tornavano in vista. Un volantino multilingue afferma «abbiamo provato un grande dolore per le morti di parigi (minuscolo) come per quelle causate dalle bombe occidentali sulle popolazioni Iraqene, Siriane, Libiche, Afgane, Yemenite, Palestinesi…i governi occidentali si nutrono del mercato delle armi…tagliano servizi…sopprimono diritti…» sigla dell’Associazione Dhuumcatu, via Casilina 525. Non lo scopriamo oggi, né tra la vecchia sinistra, né tra gli islamici. Pochi dunque? Pochissimi. Smarriti? Sicuro. Con le autorità a mandare un discorso senza bagnarsi? Come da tradizione. Con ambiguità pericolose? Purtroppo. Ma se guardate il minuscolo comizio a Roma come lo vedranno dal web a Raqqa e Mosul, nelle basi Isis della banlieue e delle cantine fondamentaliste, l’umile, modesto, casareccio comizio acquista valore. Quegli imam, quella piccola folla tra le pozzanghere, sono prima linea contro cui l’odio dei fondamentalisti si appunta. Giudicata dalla nostra trincea, la piazza è trafiletto insignificante, ma osservata da una feritoia dei parapetti del Califfo Baghdadi è minacciosa realtà. Perché sì, serviranno integrazione e dialogo, e sì, serviranno guerre lunghe e sanguinose, ma finché nella Capitale del cristianesimo, un drappello di cattolici, islamici ed ebrei parlerà, guardingo, sotto un cielo nero di nuvole, per il Califfo la sconfitta strategica è assicurata. L’uomo dall’ombrello colorato, appoggiato in silenzio al muro, ne è la prova radicale.