Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 21 Sabato calendario

Correzione: Hasna non si è fatta saltare per aria, il giubbotto esplosivo cingeva il corpo del terzo uomo di rue Courbillon, non ancora identificato

PARIGI È stata la prima donna kamikaze dell’Isis per due giorni soltanto. Poi è venuta fuori una più modesta verità: non era Hasna Ait Boulahcen, 26 anni, a indossare la cintura esplosiva nel covo di Saint Denis, fuori Parigi, sotto l’assedio dei reparti speciali per più di sei ore, dalle 4.20 del mattino di mercoledì scorso. Ma certamente non era lì per caso, non ignorava chi fosse e che cosa avesse fatto suo cugino, Abdelhamid Abaaoud, la «mente» degli attentati di otto giorni fa a Parigi. Né l’altra persona, uomo o donna, che occupava con loro l’appartamento quella notte e della quale sono stati individuati i resti irriconoscibili.
Se era, come sembra, l’unica donna nell’appartamento, è sua quasi certamente la voce risuonata poco prima che gli uomini del Raid e del Bri, le teste di cuoio francesi, lanciassero l’attacco: «Aiutatemi, aiutatemi!». Poteva anche essere uno stratagemma da kamikaze, per attirare in trappola gli agenti e ucciderli nell’esplosione. «Dov’è il tuo amico?», le ha urlato a distanza il capo del reparto d’assalto. «Non è il mio amico!», ha urlato lei di rimando. «Dov’è?», ha ruggito ancora il poliziotto. «Non è il mio amico!», ha ribadito lei, come fosse importante. Poi un lampo e il boato.
Se n’è andata così, volontariamente o, forse, perché finita in una storia più grande di lei, la «cowgirl» de la cité de la Rose-des-Vents, un agglomerato di condomini popolari nella periferia di Aulnay-sous-Bois, dov’era più nota per i suoi atteggiamenti spavaldi e anticonformisti, e per il suo cappellaccio da mandriano del West, che per la sua devozione al Corano. Con la passione per i cappelli, di tutti i tipi, si era guadagnata il soprannome di «Chapeau de paille», Cappello di paglia. Finché, recentemente, non aveva optato per l’hijab, il velo islamico che incornicia il viso ma non lascia sfuggire neanche un capello e il niqab, che rivela solo gli occhi.
Hassan, un vicino in pensione, con cui era solita scherzare, l’aveva incrociata per le scale, dopo averla persa di vista per un po’ di tempo, e non l’aveva riconosciuta, così velata: «Sono io, zio!», l’ha salutato Hasna.
Nessuno sa dire che cosa sia accaduto alla ragazza che fino a pochi mesi prima si scattava foto nella vasca da bagno, coperta soltanto di schiuma. Neanche l’amica cui ha detto qualche settimana fa «andrò in Siria a combattere la guerra santa» l’ha presa sul serio.
L’immagine più recente la mostra che fa il segno della vittoria, nella sua nuova versione integralista. Fragile, instabile, Hasna era stata un’adolescente alla deriva. Era nata a Clichy-la-Garenne, un sobborgo di Parigi, ma era stata allevata da una famiglia affidataria.
I suoi genitori, di origini marocchine, si erano separati quando Hasna aveva 5 anni. Riapparsa teenager alla Rosa dei Venti, aveva fama di «pazzerella»: fumava, beveva, ballava da sola per strada. Era sempre in giro con qualche ragazzo. Indomita e molto laica. «Polemizzava su tutto – ha raccontato al Daily Mail il fratello, Youssouf —. Non l’ho mai vista aprire il Corano, se ne stava tutto il tempo su Facebook e WhatsApp».
Il fratello ha cercato di vederla domenica: al telefono gli era apparsa strana, ma lei non gli aveva aperto e dopo 15 minuti Youssouf se n’era andato. Hasna l’ha richiamato, ma lui, offeso, ha riattaccato. Lei non ha insistito.