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 2015  novembre 02 Lunedì calendario

La sfacciataggine di Corrado Augias, le manie di grandezza di Mercedes Bresso, l’avidità di Giancarlo Giannini. Intervista a Giuliano Soria, l’ex dominus del premio Grinzane Cavour che prepara un libro per vendicarsi

Giuliano Soria quando parla ama tenere le mani appoggiate dietro la testa. Quasi a stringere i ricordi. Buoni per molti, ma non per tutti. Langarolo doc, 64 anni, a marzo è stato condannato in Appello a 8 anni e tre mesi per la gestione del Premio Grinzane Cavour di cui è stato per quasi un trentennio il dominus assoluto. È accusato di aver sperperato 4 milioni di fondi pubblici. Soldi che lui sostiene di aver in gran parte utilizzato correttamente e in parte dovuto versare nella greppia che ingrassava il caravanserraglio degli habitué del castello. In particolare quella fetta di mondo progressista che camuffa l’ingordigia con pose pensose e sopraccigli corrucciati. E così il “conto” di Cavour ha rimpinzato politici, intellettuali, giornalisti, attori, per lo più girotondini del pensiero debole e della tasca robusta. Oggi Soria è ritornato in pista con mille progetti, dirigendo due collane di libri e riprendendo le sue lezioni di Letteratura spagnola all’Università di Roma Tre. Ma soprattutto ha pronti un romanzo e un pamphlet sulla sua vicenda giudiziaria che dovrebbe uscire dopo la sentenza della Cassazione. Ora con le mani a sorreggere la nuca affronta anche questa intervista.
Soria, che cosa sta succedendo nel mondo della cultura torinese? Prima hanno condannato lei e adesso indagano pure sulla conduzione del Salone del libro da parte del presidente Rolando Picchioni, accusato di peculato.
«A Torino la pentola ha perso il coperchio. Non c’è solo il salone del libro in crisi, ma un sacco di altri enti, dal museo del cinema, alla film commission al teatro stabile. Chiuso il vivaio Fiat che aveva collocato i suoi in mille incarichi, la città è nuda in mano alla solita cricca comunista che blocca tutto, guardando al passato e non al futuro. Usa la cultura per piazzare personaggi scomodi o peggio. Per esempio Picchioni, lo hanno nominato al Salone perché in politica “rompeva”, “sapeva troppo”, “era un rompicoglioni”».
In appello ha ottenuto un’importante riduzione della condanna che le aveva inflitto il tribunale e ora è in attesa della Cassazione. Nel frattempo sta preparando un pepatissimo pamphlet su chi si è rimpinguato grazie al premio Grinzane.
«Sì, ma sarà anche un libro-denuncia sul linciaggio morale che ho subìto. Pensate che un giornale torinese ha dedicato una pagina intera a mia madre inventandosi che era stata in carcere. Sono stati querelati ed hanno pagato fior di quattrini! Per fortuna mia mamma non si è persa d’animo e anzi, a 90 anni suonati, ha inaugurato un blog di cucina e ha scritto il suo romanzo d’esordio, intitolato La littorina di Nosserio».
Alcuni suoi stretti collaboratori sostengono che il suo pamphlet contenga nomi eccellenti. Dicono che varie pagine siano dedicate a importanti magistrati…
«Dicono il vero, del resto basta andare a controllare i verbali di approvazione dei bilanci del Grinzane per trovare personaggi interessanti. Comunque su questi argomenti ho l’assoluto divieto da parte del mio difensore Luca Gastini a proferire anche una sola parola. Si aspetta un grande risultato dalla Cassazione e non vuole che qualche mia uscita possa interferire negativamente. Ma questo mi sento di dirlo comunque: pensate che avrei chiesto a un autorevolissimo magistrato torinese di far parte del consiglio del premio se avessi avuto qualcosa da nascondere nei conti? In ogni caso nel mio libro denuncia non parlerò solo di giudici».
Non ha paura delle querele?
«Se vuole saperlo io ho accusato decine di persone del mondo della politica e dello spettacolo, ma nessuno, dico nes-su-no, mi ha querelato. Come mai?».
Allora passiamo al piatto forte: gli scrocconi della politica, del mondo dell’arte, del giornalismo e del cinema. Da chi cominciamo?
«Dai giornalisti. Ho dovuto pagare in nero un’enormità di servizi direttamente a chi li realizzava. Nella vostra categoria Corrado Augias era ed è il più sfacciato di tutti. Lui lavora solo in nero. Lo sanno tutti. Fa il moralizzatore in pubblico e poi in privato è indecente. Sarà venuto 15-20 volte a presentare il premio e mi diceva se mi paghi in nero mi devi dare 5-7 mila euro, se no il doppio. Me li ha chiesti persino quando abbiamo presentato un suo libro al Grinzane Noir di Orta (Novara ndr)».
Sono accuse gravi. Mi vuole dire che neppure Augias l’ha denunciata?
«Assolutamente no. E su di lui non ho finito. Veniva spessissimo a Parigi a pranzo da me con la moglie e mi diceva sempre: “Bisogna che una volta ti inviti io”. Ebbene una sera lo ha fatto, nella sua casa in Montparnasse. L’appartamento era molto piccolo ed erano attesi otto invitati. Allora io gli chiesi: “Ma dove ci metti?”. Lui mi guardò e disse: “Hai ragione, allora andiamo al ristorante”. Scelse il prestigioso La Coupole, a tavola eravamo tre uomini e cinque donne. Alla fine sentenziò che il conto andava diviso tra i soli cavalieri. In pratica mi ha fatto offrire a due sue ospiti la cena che si sarebbe dovuta tenere a casa sua».
Veniamo alla politica. Lei ha raccontato di aver elargito all’attuale governatore del Piemonte Sergio Chiamparino un sostanzioso finanziamento in nero.
«Confermo di avergli consegnato un bel gruzzolo in contanti: 20.000 euro glieli ho dati in un bar in piazza Vittorio a Torino e ho i testimoni. Glieli ho messi in una busta nascosta dentro a un giornale. Lui era imbarazzato dalla presenza della scorta, ma ha preso la busta. Eccome se l’ha presa! Altri 5.000 glieli ho portati in casa dell’ex assessore alla Cultura Fiorenzo Alfieri, uno che mi scroccava spesso casa a Parigi e che faceva il “raccoglitore” dei fondi pro Chiamparino».
Si prende la responsabilità di quel che dice?
«Certo che sì».
Una delle ospiti più assidue della sua corte è stata Mercedes Bresso, l’ex governatrice del Piemonte. Lei nella sua memoria difensiva ha scritto che aveva imposto il marito Claude Raffestin in tutti i viaggi e persino dentro a una giuria. Ha pure detto che «Bresso esigeva che si invitassero i suoi amici a spese nostre».
«La Bresso ha avuto molto dal Grinzane, soprattutto in termini d’immagine. Poi sul piano personale anche una grandiosa festa per il suo compleanno nel teatro d’opera dell’ex ambasciata prussiana a San Pietroburgo, dove mi aveva chiesto di organizzare un’edizione del premio. Fu un ricevimento per duecento ospiti, da vera zarina! Anche il marito ci deve molto. In alcune occasioni hanno utilizzato gli eventi del Grinzane per ritagliarsi i loro personali vantaggi».
Lei asserisce di essere intervenuto per far pubblicare il noir della Bresso Il profilo del tartufo?
«Certo. Era una cosa che non stava in piedi da sola. Io me ne occupai pagando di tasca mia anche un pesante lavoro di editing. Quando uscì, la signora nelle prime pagine si sperticava in lodi nei miei confronti. Poi, dopo che mi indagarono, fece fare in fretta e furia una nuova edizione. È tutta da ridere!».
A proposito di tartufi, è vero che gli scrocconi del suo seguito ne andavano matti?
«Il più ghiotto era il “compagno” Gianni Oliva, ex assessore regionale del Pd, un gran mangiatore di trifola. Dovevo rifornirlo spesso, ovviamente gratis: pare che il tartufo sia un afrodisiaco e, parola di Oliva, con lui sortiva quell’effetto».
Nel suo libro nero ci sono altri politici?
«Sì, per esempio c’è un onorevole romano: era insistente ed insaziabile, in particolare ai tempi in cui era sottosegretario. Lui veniva a prendere i soldi qui nel mio ufficio torinese al primo piano e mi chiedeva di chiudere le tende perché non ci vedessero dal palazzo di fronte. Avrà ritirato 30-40 mila euro e gli amici della sua corrente, che conosco personalmente, sospettavano che non li avesse portati al partito, ma se li fosse tenuti per sé».
Non ha elargito solo buste, ma anche lussuosi soggiorni. Ci indichi qualche bon vivant a spese dei contribuenti…
«A parte i nomi che ho già fatto e che sono quindi noti c’è un famoso storico dell’arte, Salvatore Settis».
Settis? Ma è appena stato adottato dal blog del Movimento5stelle. Sarà un brutto colpo per gli attivisti…
«Su Settis posso dire che ha fatto modificare lo Statuto della Scuola Normale di Pisa pur di essere rieletto la terza volta direttore. Giudicate voi!».
Ha detto di aver ricompensato in nero star come Stefania Sandrelli, Isabella Ferrari, Charlotte Rampling, Michele Placido, Giancarlo Giannini, Franco Nero, Vincenzo Cerami. Chi era il più avido?
«Il più ingordo era Giannini. Finita la cerimonia voleva essere pagato subito, ovviamente cash. Mi ricordo che una volta mi chiese insistentemente i soldi in un corridoio, altrimenti non sarebbe entrato nella sala dove si teneva la cena di gala. L’ho dovuto saldare sull’unghia, credo nell’anticamera di un bagno. Cose da matti. In realtà pochi attori italiani e stranieri sono immuni dal sistema del nero. Pensi che ho dovuto retribuire in contanti Eleonora Giorgi persino per farla venire alla festa della Vendemmia nell’ottobre del 2008…».
Sono affermazioni gravi…
«Me ne assumo la responsabilità».
Ha scritto che il grande romanziere statunitense Philippe Roth è costato 30.000 euro in forma non ufficiale. Ci spieghi meglio.
«Quando premiavamo uno scrittore all’estero, lo facevamo cash e senza fattura. L’ho rimunerato personalmente all’Italian Academy della Columbia university. Ricordo che era irritato perché i giornalisti italiani non parlavano in inglese e nemmeno il direttore editoriale dell’Einaudi».
Chi altro è stato pagato sottobanco?
«Quasi tutti. Da José Saramago a Osvaldo Soriano, da Paulo Coelho, ad Adolfo Bioy Casares a Sepulveda. Non è andata diversamente con i cubani. Pensi che Tahar Ben Jelloun, da presidente della giuria, mi disse che non voleva la ricevuta, ma essere liquidato in contanti. Una cosa impossibile per i giurati, che venivano ricompensati in modo ufficiale. Ben Jelloun ha un rapporto particolare con il denaro. Ricordo che voleva divorziare dalla moglie e quando scoprì quanto gli sarebbe costato iniziò a sussurarle “j’e t’aime”. L’ho pure dovuto salvare da una grana giudiziaria, visto che per cupidigia aveva venduto i diritti di un suo libro a due diversi editori».
Col Grinzane lei ha anticipato diversi premi Nobel, come quello al nigeriano Wole Soyinka.
«Uno snob. Mi scrisse che non trovava giusto che dei ragazzi di liceo giudicassero uno scrittore del suo livello, visto che era un principe dell’antico popolo Yoruba. C’è da dire che dopo che lo abbiamo premiato alcuni protestarono facendoci notare che l’opera con cui aveva vinto era un rimaneggiamento di quella del leggendario Amos Tutuola, un nomade che trasmette i suoi racconti per via orale».
Tutuola chi?
«Amos Tutuola. Si presentò a un appuntamento con me in Africa con la sua tribù e i suoi cammelli, annunciato da una nuvola di polvere. Quando lo invitammo in Italia, si fermava per strada ad abbracciare i copertoni delle ruote».
Come sono questi premi Nobel visti da vicino?
«Umanissimi. Mi ricordo che il polacco Czeslaw Milosz, ormai ottantenne, venne al premio e si ubriacò di Barolo. Gli chiedemmo perché a fine serata si stesse scolando tutto il vino che era rimasto sulla tavola e lui ci spiegò che quello era l’unico modo “to fuck” la giovane e splendida moglie che lo attendeva in stanza. Al contrario, Soynka non aveva certo bisogno dell’alcol per soddisfare le donne, quel monumentale africano era un grande amatore. Almeno così mi assicurò una mia collaboratrice. Con Sepulveda, invece, ricordo tremende ciucche di grappa».
Ha conosciuto anche il grande Jorge Luis Borges.
«Parlavamo di tutto e sul conflitto delle Falkland mi regalò un aforisma fulminante: la definì la guerra tra due calvi per un pettine. Quando gli domandai quale fosse il più grande errore della sua vita mi mise una mano sulla spalla, quasi accarezzandomi, e disse: “Caro Soria, mi sono dimenticato di essere felice”».
Torniamo al suo j’accuse. Lei sembra particolarmente divertito dalla voracità di Alain Elkann, padre di John, il presidente della Fiat Chrysler Automobiles…
«È un flagello per le lettere italiane: vacuo e spendaccione con i soldi degli altri. Al grande evento del Grinzane a New York superò sé stesso: pretese la first classe per sé e la moglie, allora era Rosi Greco, e l’alloggio all’Hotel Carslyle, un 5 stelle lusso. Mi ricordo quanto mi disse l’avvocato Gianni Agnelli di lui: “Possibile che mia figlia Margherita tra tutti gli ebrei geniali abbia finito per sposare l’unico c…”».
In questi mesi qualcuno l’ha chiamata per chiederle di essere cancellato dal suo mémoire?
«Moltissimi mi hanno contattato per essere risparmiati. Esponenti della politica e della Rai. Ma qui non vale il noto proverbio africano: “Dove c’è un desiderio si trova sempre un cammino”. Qui non ci sarà cammino».