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 2015  novembre 02 Lunedì calendario

Bar e ristoranti, conti in rosso per 6 miliardi tra il 2005 e il 2014. Questo il costo stimato della crisi per i pubblici esercizi italiani

Più di 6 miliardi. A tanto ammonta il costo della crisi all’universo dei pubblici esercizi italiani. Sono stati persi consumi alimentari “fuori casa” per 1,2 miliardi, con una riduzione in termini reali dell’1,7%, a cui si aggiungono altri 4,8 miliardi di mancata crescita nel periodo dal 2005 al 2014. In termini pro capite, secondo l’analisi dell’ufficio studi della Fipe, la perdita a valori concatenati è stata di circa 80 euro con la flessione dai 1.214 euro del 2007, il picco nel periodo, ai 1.143 dello scorso anno.
Nel 2014 la spesa delle famiglie è stata di 74,6 miliardi e di 69,4 in volume con un aumento in termini reali dello 0,7 per cento. Quest’anno, sempre secondo le stime della Fipe, l’aumento dovrebbe essere dello 0,8% con una spesa nominale che raggiunge i 76 miliardi. Per quanto riguarda i prossimi mesi il sentiment viene dato in leggero miglioramento. «Ci ha aiutato la stagione estiva e il clima di fiducia delle imprese e dei consumatori è in crescita, grazie alle migliori prospettive economiche – commenta Lino Stoppani, presidente Fipe -. Speriamo in un consolidamento della ripresa».
Negli ultimi anni, inoltre, il settore ha vissuto profondi sommovimenti, «a partire dalle lenzuolate di Bersani, con il bar che si improvvisa ristorante ma impiegando un gran numero di prodotti pre-confezionati».
Tra crisi, calo dei consumi e nuovi impianti legislativi il settore ha vissuto profonde trasformazioni. «Servirebbe una normativa semplice che valorizzi la qualità e promuova le specificità locali – aggiunge Stoppani parlando della ristorazione -. Inoltre a livello centrale si deve investire nel turismo per stimolare l’incoming, facendo fruttare le potenzialità dell’Italia».
Secondo il rapporto Fipe, nel nostro Paese sono attivi 149mila bar e poco più di 168mila ristoranti con più di 680mila dipendenti. In pratica si contano 440 imprese ogni 100mila residenti contro le 329 della Francia e le quasi 200 della Germania. Un mercato fragile, perché affollato e competitivo, con un forte turnover, come conferma il saldo tra aperture e cessazioni: nei primi nove mesi del 2015 il saldo negativo è stato di quasi 7.300 contro le circa 10mila del 2014.
Non ha aiutato il calo, tra il 2007 e il 2014, della spesa media delle famiglie italiane, arretrata dell’11%, pari a poco meno di 4mila euro.
In precedenza, tra il 2005 e il 2010, i consumi fuori casa erano riusciti a mettere a segno un +5,2%, pari a un aumento di 3 miliardi, mentre quelli domestici arretravano del 4,8%, a quasi 7 miliardi. In questo periodo aumenta la voglia di consumare i pasti fuori casa, soprattutto per quanto riguarda il pranzo. Cambiano le abitudini: si rafforza il rito dell’happy hour e la cena diventa light, con meno portate.
Negli anni successivi, dal 2010 a oggi, la crisi inizia a farsi sentire anche sui consumi fuori casa, mentre la spesa alimentare domestica continua a contrarsi. I primi arretrano dell’1,5%, all’incirca a quota un miliardo, mentre quelli in casa segnano un -7% (quasi 10 miliardi). Insomma, meno cappuccini e brioches, meno pause pranzo al bar o cene al ristorante. Si assiste al ritorno della schiscetta, mentre chi può torna a casa per pranzare. Chi continua a mangiare fuori casa opta invece per la pizzeria e rinuncia al ristorante. In entrambi i casi c’è la regola di scegliere i locali meno costosi. Quello che era l’happy hour ora si trasforma in apericena. La reazione degli esercenti è di adattarsi al ciclo negativo puntando su un’offerta che cambia nel corso della giornata. C’è chi punta sulla specializzazione e chi sull’all you can eat. Si arriva così a oggi, con un clima che mostra un certo miglioramento.