Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 02 Lunedì calendario

Inizia il processo contro Daniela Poggiali, l’infermiera sospettata di aver ucciso decine di pazienti nell’ospedale di Lugo di Romagna. Tristemente famosi gli scatti che la ritraggono sorridente e beffarda accanto al cadavere di una degente

È arrivata a processo Daniela Poggiali, la presunta infermiera-killer di Lugo di Romagna, tristemente famosa per i selfie con il cadavere di una paziente. Nei prossimi mesi la corte d’Assise di Ravenna deciderà se ha davvero provocato il decesso di una donna di 78 anni, Rosa Calderoni, affidata alle sue cure.
Rosa è morta in circostanze molto dubbie, durante un turno di guardia in cui la Poggiali vigilava da sola sul reparto. A segnalare il caso alla procura è stata la Ausl, già in allarme per il numero eccessivo di decessi all’ospedale di Lugo.
L’analisi del corpo della Calderoni ha evidenziato la presenza di un veleno silenzioso e subdolo, il cloruro di potassio. Una volta concretizzata l’accusa di omicidio, nel cellulare della Poggiali sono state ripescate due foto inquietanti: Daniela era in posa assieme al cadavere di un’anziana appena spirata, scimmiottandola a beneficio di Sara Pausini, la collega impegnata a realizzare gli scatti. Le foto sono costate a entrambe il licenziamento. La Poggiali ha tentato l’impugnazione presso il tribunale del lavoro. La sua difesa? La donna villipesa non era, a suo dire, ancora spirata.
L’imputata ha rifiutato il rito abbreviato, convinta di provare la sua innocenza in dibattimento. Ma il grosso delle imputazioni a carico dell’infermiera potrebbe ancora arrivare. In un fascicolo parallelo gli inquirenti hanno preso in esame 38 casi di morte sospetta collegati a lei. Se il numero dei decessi fosse confermato, la Poggiali diventerebbe l’infermiera serial killer italiana con più vittime.
Per l’accusa, questa donna minuta e dal sorriso sempre pronto incarnerebbe il profilo perfetto dell’angelo della morte. Si tratta di un tipo particolare di assassino seriale, di solito medico o infermiere, che immagina se stesso come una sorta di missionario o di agente divino. C’è chi uccide i pazienti terminali per evitare che soffrano, chi provoca emergenze sanitarie per poter essere l’eroe che batte la morte per un soffio.
Lo strumento di morte del serial killer misericordioso è difficile da identificare: aria iniettata per causare embolie, tranquillanti o, come a Lugo, cloruro di potassio. Una sostanza che provoca la morte in poco tempo e già 48 ore dopo il decesso non è più rintracciabile. Nel caso della Calderoni è stato possibile certificare un livello anomalo di potassio analizzando l’umor vitreo degli occhi della paziente. Per il resto dei decessi fanno fede solo le statistiche della Ausl.
Daniela Poggiali ha prestato servizio all’ospedale di Lugo dall’aprile del 2012 a quello del 2014. Nel biennio in questione sono morti 191 pazienti, 139 dei quali in reparti in cui era presente l’imputata. Nei settori cui aveva accesso il tasso di mortalità settimanale diventava due volte e mezzo quello normale. Guardando al trend precedente al suo arrivo all’Umberto I – e a quello dopo il suo licenziamento – salirebbero addirittura a 87 i decessi “di troppo”. Impossibile, oggi, valutare se e quanti sono avvenuti per mano dell’infermiera Poggiali.
Per l’accusa la donna procedeva alla “sistematica eliminazione” dei pazienti. A essere colpiti i malati più gravi: non autosufficienti, bisognosi di continua assistenza, costituivano un peso di cui liberarsi. O, in alternativa, una punizione da affibbiare ai colleghi poco graditi. Con la giusta dose di purgante a un degente si poteva trasformare il turno di guardia di altri infermieri in un lungo incubo.
Daniela Poggiali, però, nega ogni addebito. “Mi hanno già condannato come una serial killer ma la verità – ha detto in un’intervista al Corriere della Sera – è che senza la prescrizione del medico non ho mai dato neppure un sedativo”. Molti colleghi l’hanno descritta come una lavoratrice seria, molto esuberante, ma anche efficiente. La stessa Cipollina, questo il suo soprannome in ospedale, ha ammesso di aver fatto molti turni di notte (in cui c’è un unico infermiere), ma solo per amore del suo lavoro.
Il suo profilo, però, combacia con quello che gli americani chiamano angel of mercy. L’angelo della misericordia uccide per narcisismo ed è spesso un professionista esperto. Chi accuserebbe non solo d’imperizia ma addirittura di dolo volontario il collega più presente, l’ultimo a lasciare il reparto, quello che si fa carico dei turni peggiori? Nessuno. E allora si sussurrano i sospetti dietro alle spalle, dando vita a una marea montante di accuse che non riesce a bucare la bolla protetta dell’ospedale. Così è avvenuto anche all’Umberto I di Lugo.
Come ha sottolineato la Ausl competente, dai colleghi della Poggiali prima dell’arresto non sono mai venute né segnalazioni né denunce.
Un filone parallelo sta valutando i reati di omissione di referto e atti d’ufficio a carico di due dirigenti della struttura sanitaria di Lugo. Ben più grave l’accusa di omicidio volontario che pesa sul direttore e la caposala del Reparto di Medicina Interna all’epoca della morte di Rosa Calderoni. Non hanno impedito l’uccisione della paziente e questo li configurerebbe come responsabili, al pari dell’infermiera che avrebbe fatto l’iniezione letale. Esclusa, invece, la responsabilità civile dell’Ausl, che si ritiene parte offesa. L’Azienda sanitaria ha subito messo in chiaro che l’inchiesta sulla Poggiali non può “mettere sotto accusa” l’intero ospedale di Lugo. Decine di omicidi avvenuti in corsia lasciano però sospeso un interrogativo: davvero non si potevano evitare?