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 2015  novembre 02 Lunedì calendario

Furbetti d’Italia. Da Sanremo a Salerno, da Trieste a Foggia fino a Reggio Calabria, dovunque i magistrati rivolgano la loro attenzione trovano dipendenti pubblici da processare

La Casta dei politici ingiuriata e odiata ma invidiata e imitata. I furbetti del cartellino pizzicati a Sanremo – alcuni letteralmente in mutande – macinavano sui social insulti ai parlamentari furbacchioni e nella realtà consumavano vendette tentando di seguirne le gesta come potevano. Tra i 35 arrestati e i 195 indagati per essersi più volte segnati presenti al lavoro per poi lasciare l’ufficio, la sintesi per tutti la rende l’immagine di uno di loro abbandonato ai tavolini di un bar all’aperto accompagnata dalla frase “oggi passo la giornata come un politico, cioè non faccio un cazzo”. Tanto hanno imitato gli odiati politici che sono stati pizzicati. L’andazzo, del resto, era insostenibile: l’inchiesta che con cinica ironia la procura di Imperia ha battezzato Stachanov, ha indagato più di un terzo dei dipendenti del municipio e interi uffici come quello dell’anagrafe.
La Guardia di Finanza ha reso noto di aver scremato molto “per evitare la caccia alle streghe” e che in realtà sui 528 dipendenti almeno la metà si è finta al lavoro almeno qualche volta. Sono stati colpiti gli abitudinari, i recidivi, in pratica. 35 sono agli arresti domiciliari, otto hanno l’obbligo di firma, 75 hanno ricevuto l’avviso di conclusione indagini e altri 71 sono stati denunciati penalmente a piede libero. Le accuse sono, a vario titolo, truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato e falso in atto pubblico in relazione a casi di assenteismo e indebito utilizzo del cartellino identificativo.
Nelle conseguenze si saranno forse sentiti più vicini alla Casta: neanche i 35 dipendenti arrestati sono stati infatti licenziati dall’amministrazione. Ma semplicemente sospesi con una decurtazione del 50% dello stipendio. E c’è anche il rischio che qualcuno possa far ricorso contro questo provvedimento. Tanto che il Comune di Sanremo, per tutelarsi, ha incaricato un avvocato per verificare l’intera documentazione agli atti dell’inchiesta per poter da una parte accertare se ci sono casi con riscontri evidenti e gravi da poter giustificare un immediato licenziamento senza attendere l’esito dell’iter giudiziario e, dall’altro, individuare possibili errori nella constatazione del reato. Insomma: degli oltre duecento dipendenti pochissimi saranno puniti e quasi tutti rimarranno al loro posto. La Casta del cartellino. L’impunità ricorda fin troppo da vicino i loro “nemici” (a parole) politici.
Uno dei casi simili più recenti è forse quello di Giancarlo Galan, ex presidente della Regione Veneto, parlamentare, arrestato per tangenti nell’inchiesta del Mose ha ottenuto i domiciliari dopo aver patteggiato una pena di quasi tre anni il pagamento di circa tre milioni di multa ma mantiene il vitalizio regionale. E quando un mese fa gli è stata pignorata dallo Stato la villa ritenuta frutto di tangenti lui ha inizialmente tentato di temporeggiare poi, una volta costretto a lasciare la residenza, ha sradicato e portato via caminetti, lavelli e water. Forse ritenendo un’ingiustizia il dover pagare per le proprie colpe, confermate fino in Cassazione. Per carità: una volta scoperto l’irrituale furto, Galan s’è scusato scrivendo ai magistrati e dicendo che è pronto a restituire tutto. La domanda è lecita: se nessuno se ne fosse accorto?
I furbetti del cartellino imitano i politici da loro odiati anche nel difendersi e sfidando persino il comico. Emblematico il caso di Alberto Muraglia, il vigile filmato mentre timbrava in mutande. Il suo avvocato, Alessandro Moroni, ha spiegato che era uscito senza pantaloni perché aveva un’urgenza improvvisa alle 6.23 del mattino. Quindi, spiega il difensore, Muraglia “si stava mettendo i pantaloni per andare a fare un servizio urgente per spostare un furgone che intralciava il mercato. Alle 6.23 timbra e alle 6.30 sul mezzo c’era la contravvenzione. Abbiamo i documenti che lo dimostrano e presto lo spiegheremo anche al pm”. Insomma sarebbe solo stato un caso: chi non timbra il cartellino prima di vestirsi?
Sanremo non è un caso isolato. Appena pochi giorni prima – a fine settembre – c’è stata un’identica inchiesta a Salerno, non in Comune ma nella struttura ospedaliera pubblica San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona: dieci arrestati e altri 850 dipendenti indagati a piede libero per truffa allo Stato e false attestazioni o certificazioni nell’utilizzo del badge. Anche qui timbravano e andavano chi al mare chi a fare la spesa durante l’orario di lavoro. E anche qui di licenziamenti ancora nessuno – a quanto è dato sapere – e solo dieci sospensioni per un anno con la riduzione dello stipendio. E non è detto che finire indagati poi porti conseguenze negative sugli scatti di carriera.
Come dimostra il caso dell’architetto Maurizio Anselmi che proprio questo giovedì 5 novembre prenderà servizio come direttore del Parco e del Castello di Miramare a Trieste. Anselmi è uno dei 114 dirigenti museali statali nominati poche settimane fa dal ministro Dario Franceschini. Nomine accompagnate dal titolare del dicastero della attività culturali con toni entusiastici: “Finalmente il nostro Paese si è dotato di un sistema statale moderno e dinamico. I musei non sono più meri uffici delle soprintendenze ma realtà a sé stanti, capaci di gestire programmazione e risorse”. Anselmi però arriva dalla soprintendenza del Friuli Venezia Giulia ed è stato rinviato a giudizio lo scorso luglio per un’inchiesta sull’assenteismo a carico di 31 dipendenti di quella soprintendenza con l’accusa di falso ideologico e truffa ai danni dello Stato. Anselmi era entrato da geometra negli 80 fino a diventare dirigente della soprintendenza. A lui sono state contestate assenze ingiustificate per sette ore e ha un processo parallelo anche in Corte dei Conti. Ma ora, da imputato, è stato promosso. Per carità: non siamo ai livelli di Denis Verdini che nonostante cinque rinvii a giudizio – per reati che vanno dalla truffa ai danni dello Stato alla corruzione – riscrive la Costituzione, ma c’è speranza di carriera per tutti.
Forse l’aspetto peculiare e inemendabile dell’illegalità spicciola all’italiana, come ha scritto Massimo Gramellini su La Stampa nel buongiorno del 24 ottobre, sta nel fatto che “l’impiegato assenteista che striscia il badge per sé e i suoi cari non si sente un delinquente che imbroglia, ma una vittima che si arrangia”. Una persona “in debito con la vita, che nella piccola truffa allo Stato vede una sorta di parziale e sempre provvisoria compensazione”. E che disprezza i politici perché ne invidia il potere, “il potere di rubare molto di più”. Non è forse anche la difesa di chi evade le tasse? Verbalizzata dal condannato Silvio Berlusconi per la prima volta il 17 febbraio 2004: “Se si chiede una pressione fiscale del 50 per cento ognuno si sentirà moralmente autorizzato ad evadere”. La logica del furto per furto, l’elogio del furbo per furbo.
Di esempi ne è piena l’Italia. Sanremo è solo stato l’ultimo caso. A giugno di assenteisti ne sono stati pizzicati 33 nel piccolo comune di Manfredonia: undici arrestati e 22 indagati. Sempre questioni di cartellino. Ma tra loro c’era chi lavorava davvero ma non in Comune: timbrava in municipio e poi andava a fare l’idraulico, per arrotondare. Alla Provincia di Foggia lo scorso aprile persino alcuni lavoratori con contratto part-time di 4 ore timbravano e andavano a fare la spesa o altre commissioni personali. A Trieste tra i trenta dipendenti dell’amministrazione sorpresi a falsificare le presenze uno era riuscito nel frattempo a farsi eleggere in un consiglio elettorale di un paese della provincia. Al Comune di Reggio Calabria, invece, sono stati arrestati 17 dipendenti e 78 sono stati denunciati nell’operazione “Torno subito”. Il gruppetto si era organizzato in turni: ogni settimana uno andava a timbrare per tutti.
E anche questo, in effetti, è un lavoro. Pure a Sanremo a volte si scambiavano il favore. “Devo andare in canoa, passi tu a timbrare?”. Poi, sui social, criticavano la Casta. Uno ha pubblicato una vignetta con un dialogo tra padre e figlio: “Papà, tu la paghi la tassa sugli animali?”. “Ma certo! Con tutti i maiali che mantengo a Roma”. Torna alla mente “la fattoria degli animali” di George Orwell, un libro che raffigura alla perfezione la patologia del potere. Gli animali cacciano dalla fattoria il fattore tiranno Jones e instaurano una democrazia basata su alcuni principi, tra cui “mai imitare gli uomini” e soprattutto “tutti gli animali sono uguali”. I maiali prendono il potere e uno di loro, Napoleone, col tempo si sostituisce al vecchio fattore diventando altrettanto tiranno e imitandone persino le abitudini fino ad arrivare a vestirsi da uomo e camminare su due zampe. Il libro termina con quel comandamento fondante trasformato: “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali degli altri”. Come i furbetti e le Caste.